Ghost Train
(Jupit)
Che le quotazioni dellhorror giapponese - a qualche anno dallesplosione del fenomeno Ring - fossero vertiginosamente scese lo avevamo capito un po tutti da un bel pezzo. Anche perché da quando la figura sadakiana è diventata uno stereotipo, ce la siamo vista comparire davvero ovunque, con i suoi capelli neri davanti alla faccia, pronta a sbucare da un cellulare, da un lavandino, da un piatto di minestrone. Ghost Train (conosciuto anche con il titolo di Otoshimono) non fa eccezione e ci racconta la solita vecchia storia, con lunica differenza che in questo caso lo spirito maligno alberga allinterno di un tunnel ferroviario, pronto ad aggredire chiunque ne violi lo spazio, e a riversare fiumi di odio vendicativo su ogni malcapitato avventore.
Non cè bisogno di precisare che nessuno sentiva il bisogno dellennesimo clone. Eppure, Ghost Train è stato un successo incredibile in patria, tanto da riuscire a guadagnarsi un onorevole secondo posto per quel che riguarda gli incassi complessivi al termine della scorsa stagione cinematografica: difficile analizzarne i motivi e poter dare una motivazione valida allaccaduto, considerato che il film in sé è davvero poca cosa e che non funziona affatto, da qualsiasi punto di vista lo si guardi. Perché lopera seconda di Takeshi Furusawa - praticamente al debutto, data linvisibilità quasi totale della sua prima fatica ed il salto di qualità produttiva intercorso tra un film e laltro - puzza di già visto sin dai primissimi minuti: dagli oggetti maledetti che fungono da tramite per la persecuzione dei protagonisti da parte dei fantasmi - un temibile biglietto del treno ed un altrettanto pericoloso braccialetto - allesistenza di un mondo segreto sotterraneo popolato da entità ultraterrene (chi ha detto Marebito?), tutto rimanda a decine di altri film e gli echi lovecraftiani del finale - rievocati tra laltro da una pacchianissima iconografia - non fanno altro che alimentare la sensazione di pretestuosità che pervade il tutto.
Lassenza totale di trovate registiche e di fascino visivo, poi, non aiuta: luso dei flashback per rimandare ad eventi già accaduti in precedenza, i ralenti per sottolineare le fugaci comparsate dei fantasmi e luso quasi criminale dello split screen fanno sembrare Ghost Train uno squallido prodotto televisivo, complici anche degli effetti speciali in digitale davvero poco riusciti. Linserimento di una forzata morale basata sullimportanza dei ricordi e dellamicizia è il colpo di grazia. Unica consolazione? La presenza della bella Erika Sawajiri, astro nascente del cinema nipponico, che dopo i successi di Pacchigi! e di Shinobi, fa di nuovo centro prendendo parte come protagonista assoluta ad uno dei film più economicamente fortunati dello scorso anno. Anche se, purtroppo per lei, il suo talento non si può certo definire sfruttato a dovere. Prodotti come Ghost Train non fanno altro che sottolineare il periodo di stanca dellhorror orientale, già in difficoltà creative ed artistiche da diversi anni. Da evitare senza troppe remore. Martin De Martin da Nocturno.it
Curiosità (da cineblog.it)
Per il lancio di Ghost Train sono esplose le polemiche per una locandina considerata troppo spaventosa.
Un mostruoso bambino zombie che ochieggiava dal poster è stato sostituito con la locandina inserita a inizio pagina.
A quanto pare la richiesta sembra esser arrivata dalla compagnia che gestisce il trasporto metropolitano giapponese, visto che buona parte del film si svolge proprio nella metrò di Tokio.
Credits
Regia: Takeshi Furusawa
Anno: 2006
Durata: 90 minuti
Cast: Chinatsu Wakatsuki, Aya Sugimoto, Erika Sawajiri