Welcome To Dongmakgol
(Cayenne)
Siamo nel pieno della Guerra di Corea. Tre soldati nordcoreani, guidati dal comandante Lee, sono rocambolescamente riusciti a sfuggire all'imboscata nella quale sono morti tutti i loro compagni. Mentre vagano nei boschi alla ricerca di una strada per tornare a Pyongang, si imbattono in una stramba ragazza, Yeo-il, che li guida al suo villaggio, Dongmakgol, incredibilmente ignaro della guerra e delle sue ragioni. Poco lontano, un altro paesano incontra due soldati sudcoreani, il tenente Pyo, traumatizzato da una recente tragedia, tanto che stava tentando il suicidio, e l'ingenuo medico di campo Moon. Non bastasse questo, un aereo in ricognizione ha da poco effettutato un atterraggio di emergenza sui monti vicini al villaggio, e il pilota statunitense, ferito, è stato portato in una delle abitazioni perché si ristabilisca. In questo modo il villaggio si trova ostaggio delle tensioni della guerra: i soldati del Sud e del Nord si fronteggiano, ma non osano agire per primi per paura delle reazioni della parte avversa. La situazione si protrae, finché per un errore il magazzino del paese salta in aria insieme a tutte le provviste per l'inverno. Sentendosi colpevoli, i soldati decidono di indire una tregua e cooperare fino a quando il magazzino non sarà di nuovo pieno. Nel frattempo però il centro operativo statunitense, constatando quanti aerei sono caduti nella zona, inizia a pensare che tra quei monti si nasconda una roccaforte comunista...
Grandissimo successo al botteghino, per il 2005 secondo solo al successivo King and the Clown, Welcome to Dongmakgol è un rincuorante saggio allegorico sugli orrori della guerra, sulla possibilità concreta dell'incontro tra opposti, sulla forza del lavoro come collante contro le incomprensioni. Il villaggio di Dongmakgol diventa allora una shangri-la atemporale, sorta di paradiso in terra dove la violenza non esiste, il sorriso è perenne e tutto si risolve con pazienza e sudore della fronte. L'intento del regista, il giovane Park Kwang-hyun, al suo esordio nel lungometraggio dopo aver diretto uno dei corti di No Comment (2002), è esplicito: costruire un'utopia incantata che offra un'alternativa al sopruso e al dolore della divisione, nella quale vive la Corea fin dagli anni '50. In questo senso ogni verosimiglianza è abbandonata a favore di uno sguardo magico che colga lo stupore primordiale della vita (il lavoro nei campi, la pioggia di pop corn conseguente all'esplosione del magazzino, la lotta contro il cinghiale imbufalito), il tutto coadiuvato dalle splendide sinfonie di Hisaishi Joe, collaboratore di lunga data di Miyazaki Hayao. Qui sta tutto il pregio, ma anche il limite del film, scritto e prodotto da Jang Jin (Guns & Talks, Someone Special). Welcome to Dongmakgol è infatti una fantasticheria ideata per far sentire bene chi la guarda, ambientata però in un periodo doloroso e traumatizzante come la guerra di Corea. Da un lato il film coinvolge, emoziona, commuove persino, perché il suo palese messaggio è aperto alla speranza più cristallina. Dall'altro, proprio nell'inseguire questo scopo, il film si concede tanti e tali slittamenti rispetto alla realtà, da finire con l'esserne completamente slegato; si trasforma cioè in un viaggio mentale che difficilmente può trovare appiglio e applicazione nel reale. Il rifugio/salvezza dalla guerra e dall'odio sono visti nella tradizione - cioé nella vita rurale dei paesani. Ma si tratta di una tradizione immaginaria, rielaborata in chiave mitica: in nessun villaggio, presente o passato che sia, è completamente assente l'impulso alla violenza, al sopruso, tanto da risultare incomprensibile ai suoi abitanti. Proprio nel rifiutarsi di fare i conti con l'istinto ineliminabile alla violenza implicito nell'uomo, in ciascun uomo, Welcome to Dongmakgol resta ambiguo, irrisolto, lontanissimo dal poetico livore di un JSA, tanto per fare un esempio. Tolto questo particolare, si ha comunque un film compatto, che appassiona e non annoia, con una capacità invidiabile nella costruzione di scene idilliache, paffute, incantate - e che ha persino il coraggio di concedersi un finale eroico e tragico al contempo, pur se zeppo di retorica. La sintesi di tutto ben la esprime il capo villaggio nel rispondere al comandante Lee, che gli ha domandato stupito come possa farsi obbedire senza mai bisogno di alzare la voce. La risposta non prevede nessun discorso complesso sul rispetto o la costruzione del consenso tramite la concertazione, piuttosto: "Basta che ognuno abbia da mangiare in abbondanza". Uno sguardo semplice sulla vita, che se di certo non presenta soluzioni concrete ai problemi, ha comunque il potere di far sognare. (recensione di Stefano Locati da asiaexpress.it)
Credits
Regia: Park Kwang-hyun
Sceneggiatura: Jin Jang
Durata: 133
Cast: Shin Ha-kyun, Jung Jae-yeong, Kang Hye-jeong, Steve Taschler, Seo Jae-gyung,Im Ha-ryong, Ryoo Deok-hwan
AWARDS
26th Blue Dragon Awards
• Winner - Best Supporting Actor (Im Ha-Ryong)
• Winner - Best Supporting Actress (Kang Hye-Jung)
Wallpaper
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