Throw Down (2004)
La storia si ispira alla lontana alla saga Sugata Sanshiro, di Akira Kurosawa (due episodi, uno del 1943, l'altro del 1945) mai arrivata in Italia: un campione di Judo, Sze-to, ormai ritiratosi dalle scene da anni, si ritrova davanti un ragazzo entusiasta che lo vuole sfidare. Sze-to sembra un'altra persona, ingrigito, scombussolato, fuori dalla realtà, forse dimentico di quello che era un tempo, con la bottiglia come unica compagna. Ma il ragazzino non molla.
Potrà sembrare una trama banale, specie per un film che parla di judo, ma banale Rudao longhu bang-Throw Down non lo è affatto. Non solo perché l'intento di To è un esplicito omaggio a Kurosawa, che non passa per un banale citazionismo (i due film di cui sopra, il primo dei quali esordio del maestro giapponese, sono velati dell'autobiografismo di un cineasta ancora giovane e irruento, ai tempi di una rigidissima censura); ma anche perché il film di To si rivela di una personalità sconcertante, e quasi spiazzante: immerge la vicenda in una Hong Kong più di forme che di luoghi (i volumi sono riconoscibili: gli stessi tra i quali si svolgeva PTU), dove abitano archetipi più che personaggi. Si serve di una trama di fondo semplice, ma la trascura continuamente, in nome di una solenne libertà espressiva agli antipodi della narrazione tradizionale, prendendo più volte strade parallele che arricchiscono la vicenda e i caratteri protagonisti in ogni senso, tra parentesi giocose, scazzottate violente, improvvisi squarci visionari (la splendida sequenza della fuga con i soldi di una bisca clandestina è tra le vette assolute del cinema dell'autore), e uno spirito anarchico e beffardo, ma soprattutto vitale, che si bea della propria padronanza stilistica solamente per poter arrivare ad un cinema ludico, consapevole di se stesso, ma non futile: Throw Down, in fondo, attraverso il suo viaggio astratto ed imprevedibile, parla della "reificazione" di un uomo che ha smarrito la propria strada e la propria anima, e che torna a essere se stesso dopo un cammino ondivago. E forse la cosa più "sorprendente" è che questa storia ci venga raccontata in una forma che è cinema allo stato puro, sorretto da un dinamismo dell'immagine che sottolinea di continuo l'insufficienza degli schemi narrativi che oggi regolano come una gabbia la Settima Arte, senza arrivare a quelle derive post- che ormai sembrano solo celebrarne il declino.
(da cinemavvenire.it)
Cast: Louis Koo, Aaron Kwok, Cherrie Ying
Produttore: Johnnie To & Stephen Lam
Regista: Johnny To
Durata: 98 minuti
Sottotitoli
Messaggio modificato da fabiojappo il 27 December 2014 - 05:48 PM