Farewell to the Ark
(Addio all'Arca)
Titolo originale: Saraba hakobune (さらば箱舟)
Nazione: Giappone
Anno: 1984
Genere: Drammatico/Fantastico
Durata: 127 '
Regia: Terayama Shuji
Traduzione: Shimamura81
Revisione: battleroyale
"Per parecchio tempo il colonnello Aureliano Buendìa non riuscì a ricuperare la serenità. […] Era perduto, smarrito in una casa estranea dove ormai nulla e nessuno gli suscitava la minima ombra di affetto. [...]Un mattino trovò Ursula che piangeva sotto il castagno, appoggiata alle ginocchia di suo marito morto. Il colonnello Aureliano Buendìa era l'unico ospite della casa che continuava a non vedere il potente vecchio incurvato d mezzo secolo di intemperie. «saluta tuo padre» gli disse Ursula. Lui si fermò per un attimo davanti al castagno, e ancora una volta si accorse che nemmeno quello spazio vuoto suscitava in lui una parvenza di affetto.
«Cosa dice?» chiese.
«È molto triste» rispose Ursula, «perché crede che morirai».
«Gli dica» sorrise il colonnello, «che non si muore quando si deve, ma quando si può»".
*
"Macondo era già un pauroso vortice di polvere e macerie centrifugato dalla collera dell'uragano biblico, quando Aureliano saltò undici pagine per non perder tempo coi fatti fin troppo noti, e cominciò a decifrare l'istante che stava vivendo, e lo decifrava a mano amano che lo viveva, profetizzando sé stesso nell'atto di decifrare le ultime pagine delle pergamene, come se si stesse vivendo in uno specchio parlante. Allora saltò oltre per precorrere le predizioni ed appurare la data e le circostanze della sua morte. Tuttavia, prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, perché era previsto che la città degli specchi (o degli specchietti) sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell'istante in cui Aureliano Babilonia avesse terminato di decifrare le pergamene, e che tutto quello che vi era scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cento anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra"."Cent'anni di solitudine"
Gabriel Garcìa Màrquez1
Terayama Shuji (寺山 修司).
Nato il 10 dicembre del 1935 ad Hirosaki, nella prefettura di Aomori, Terayama2 era figlio unico. Il padre muore durante la guerra del Pacifico3, quando il giovane Shuji ha appena nove anni. Per sopravvivere, la madre è costretta ad affidare il figlio ad alcuni parenti, a Misawa, sempre nella prefettura di Aomori, mentre lei si trasferisce nel Kyushu, per lavorare in un'industria bellica. È in questi anni che Terayama conosce gli orrori della guerra, sopravvivendo miracolosamente ai raid americani che, ad Aomori, uccisero oltre 30,000 persone.
Terminata la guerra, nel 1954 Terayama si iscrive alla prestigiosa Università di Waseda [Waseda Daigaku (早稲田大学)], per tentare la laurea in Lingua e letteratura giapponese, ma è costretto ad abbandonare per problemi di salute. Terayama soffre infatti di "sindrome nefrotica"4, una malattia che colpisce i reni, che in quegli anni fa la sua prima apparizione e con il quale il regista dovrà convivere per il resto della sua vita. Da questo momento in poi Terayama frequenterà un'unica scuola: la vita. Comincia infatti a lavorare nei bar del quartiere di Shinjuku (新宿区), a Tokyo, e contemporaneamente studia da autodidatta tutto quello che gli serve.
Siamo all'inizio degli anni sessanta, ed il giovane Terayama si fa subito notare negli ambienti culturali della capitale, in specie per la sua cultura proteiforme, capace di trattare di poesia giapponese, quanto di letteratura straniera, di boxe, quanto di corse di cavalli. Numerosi i saggi che egli scrive in quegli anni. È questo un periodo di forti contestazioni sociali, quello che Oshima Nagisa (大島 渚) descriverà nella sua "tetralogia" per la casa di produzione cinematografica Shochiku (松竹株式会社), e che lo stesso Terayama descriverà nel suo secondo lungometraggio: Sho o suteyo, machi e deyō [書を捨てよ、町へ出よう(Getta i tuoi libri e corri per strada!); tit. int.: Throw Away Your Books, Run into the Streets!], del 1971.
Nel frattempo, oltre a continuare le sue rappresentazioni teatrali con il Tenjo sajiki in tutto il mondo, ormai, non rinnega la sua passione per i cortometraggi, cui già si dedicava dal 1960, e che gli permettono di lavorare con una sceneggiatura più libera, spesso improvvisata, secondo prerogative quasi jazzistiche. Il primo di un certo rilievo è sempre del 1971, Tomato kecchappu kotei [トマトケッチャップ皇帝, (Empereur Tomato Ketchup)], un cortometraggio sconvolgente9, ambientato in un futuro immaginario, in cui i bambini governano sugli adulti. Segue, nel 1974, uno dei suoi più famosi: Rolla [ローラ, (Roller, ma noto anche come "Laura")]. Da qui in poi, fino al 1979, ne seguiranno altri dodici. L'ultimo, Kusa Meikyū, [草迷宮, (Grass Labyrinth)], della durata di circa 50 ', interpretato dal regista Itami Juzo (伊丹 十三)10. Segue una lunga pausa, a causa di problemi di salute, che non significa però inattività. Oramai personalità molto in vista, scrittore e saggista autorevole, Terayama viaggia per il mondo, invitato dai direttori dei Festival più importanti del pianeta.
Non vede l'ora di partire.
Terayama Shuji non arriverà mai a Cannes. Il 4 maggio 1983 muore in seguito ad un attacco di cirrosi epatica. Il Tenjo sajiki si scioglie poche settimane dopo.
Il suo ultimo film, presentato a Cannes nel 1984, è Farewell to the Ark.
Addio all'arca, in inglese Farewell to the Ark, ma il film è conosciuto anche con il titolo Goodbye Ark, è un film visivamente splendido. Abbiamo già detto che è stato l'ultimo film di Terayama, con tutti gli annessi e connessi. In genere ci si spreca nel dire che è l'ultimo film, quindi testamento spirituale dell'autore oltre che summa della sua opera. Saraba hakobune non è niente di tutto questo, ovvero è anche tutto questo, o meglio, potrebbe essere tutto questo...11
Voglio dire...
Il film è stato girato dal regista gravemente ammalato, consapevole che oramai non gli restava molto da vivere. In esso Terayama affronta un tema a lui carissimo, un tema già protagonista di buona parte delle sue pellicole, quello dei ricordi. Oltre a questo tema, il regista tratta anche del tema della famiglia. Si tratta per lo più di ricordi personali che Terayama usa come punto di partenza e che trasforma/reinventa/riscrive per adattarli nel miglior modo possibile alle sue storie. In tal senso il film può essere inteso come testamento morale dell'artista e come summa della sua opera, se non fosse che, in realtà, il film si discosta, per molti aspetti, dai suoi lavori anteriori, configurandosi, più che altro come il suo capolavoro della maturità.
L'epopea narrata dallo scrittore colombiano scosse il mondo della letteratura, apportandogli nuova linfa. Garcìa Màrquez creava un mondo letterario fuori dal tempo, dove il continuo susseguirsi negli anni degli Aureliani e degli Arcadi costituisce il simbolo di un universo, di un'Arcadia, che si poggia su fondamenta del tutto intonse, non sfiorate né dalla paura né dalla recriminazione, né dal giudizio né da qualsiasi altra forma di selezione dell'esistente. I morti che tornano e le assunzioni al cielo, neonati con la coda di porco e cantori bicentenari, entrano/penetrano nella mente del lettore, confondendone la percezione del reale, violandone e sovvertendone le fondamenta. E nel fare questo, ci introducono alla "mitopoietica" màrquesiana, in un mondo "altro", del tutto privo della necessità di un "Assoluto", dominato da una speranza pagana irriducibile all'osservanza di qualsiasi legge/ordine precostituita/o.
Un romanzo del genere difficilmente non poteva non interessare il regista, che decise prima di trarne un lavoro teatrale13, abbastanza fedele all'originale, e poi un film, svincolato, invece, dalla trama del romanzo: Saraba hakobune.
Stilisticamente, il film non si discosta molto dai precedenti lavori di Terayama: telecamera quasi fissa, l'uso di filtri video (le c.d. "gelatine"), insomma, una messa in scena che molto deve al classico teatro giapponese. C'è qui, tuttavia, una maggiore sobrietà, meno voglia di stupire lo spettatore, e molta più voglia di raccontare. Ne consegue, quindi, anche uno stile più sobrio rispetto al passato, nonostante i numerosi aspetti "folkloristici" della storia.
L'opera che conferma non solo l'incredibile talento di quest'artista giapponese, ma anche la sua incredibile duttilità. Malinconicamente, c'è da chiedersi cosa avrebbe potuto dare un regista del suo calibro, al cinema giapponese, se fosse vissuto più a lungo.
Spero possiate apprezzare il suo commiato dal mondo del cinema, dalla vita, e da Noi, così come ho fatto io...

La versione dei sottotitoli è quella in 2 CD, da 1,36 GB.
Per qualsiasi cosa, errori o difficoltà a reperire il film, non esitate a contattarmi.
See ya' soon.

Note alla recensione.
1 Gabriel Garcìa Màrquez, Cien años de soledad, 1967. L'edizione italiana è a cura di Mondadori.
2 Ho già accennato qualcosa del discorso su Terayama Shuji nella Recensione del cortometraggio "Laura", cui mi permetto di rinviare.
3 In Indonesia, cioè, durante la Seconda guerra mondiale.
4 In realtà non si tratta di una malattia, ma di una "sindrome", appunto. Cioè di una serie di sintomi che coinvolgono l'apparato renale e che derivano per lo più da patologie che colpiscono non solo i reni, ma anche l'intero apparato urinario. Non è facile indagarne l'origine. Oggi le cause si identificano per lo più grazie ad una "biopsia". Ai tempi di Terayama ciò era molto difficile, tant'è che il regista non saprà mai di cosa realmente soffriva...
5 Sul Tenjo sajiki mi permetto di rinviare di nuovo alla [RECE-SUB] di "Laura".
6 Amanti perduti (Les enfantes du paradise), di Marcel Carné, 1945. Scritto in collaborazione niente poco di meno che con Jacques Prévert, il film non solo rappresenta l'apice dell'opera cinematografica di Carné, ma anche una delle vette più alte del cinema francese. Il film è infatti un inno all'amore universale, girato magistralmente e recitato in maniera grandiosa. Il titolo, che a prima vista sembra solo poetico, in realtà fa riferimento all'ambientazione del film, che è quella degli artisti di strada, dei teatri e del circo. In Francia, infatti, vengono chiamati "le paradis", perché posizionate più in alto, dietro alle poltrone centrali, i posti a sedere più economici dei teatri. In realtà, avrebbe dichiarato poi Carné, in tal modo il titolo finiva per porre l'accento sul pubblico, e non sugli attori, veri protagonisti del film, tant'è che il titolo originale doveva essere "Funambules" . Ma alla fine si preferì "Les enfantes du paradise".
7 "Cent'anni di solitudine" (百年の孤独) venne rappresentato dal Tenjo sajiki, in cinque atti, all'interno di un grande magazzino. Il pubblico era seduto intorno al palco centrale. Oltre il pubblico altri quattro pioccoli palchetti, posti agli angoli del palco centrale, su cui venivano proiettate, a fasi alterne, ma spesso anche in simultanea, scene del romanzo. In tal modo il Tenjo sajiki costringeva gli spettatori a scegliere quale scena seguire, quasi fosse un gioco... È stata la prima rappresentazione del Tenjo sajiki ad essere anche filmata.
8 Ma, come vedremo tra breve, era già dal 1960 che si dedicava alla realizzazione di cortometraggi.
9 Del film, che suscitò scandalo per il suo alto contenuto erotico, esiste anche una versione lunga dello stesso anno.
10 Itami Juzo. Già assistente di Kurosawa Akira (黒澤 明), poi acclamato regista egli stesso. È noto, in occidente, soprattutto per Tanpopo [タンポポ, (Dente di leone)], film del 1985.
11 Ma che sto dicendo? O_O
12 Il cinema di Terayama aveva un carattere estremamente autobiografico, oltre che un non so che di autocelebrativo, un po' come il cinema di Fellini, a cui, per alcuni temi, alcuni critici hanno accostato il regista nipponico.
13 Vedi nota 7.
14 Già vista nel bellissimo Fukushū suru wa ware ni ari [復讐するは我にあり, (Vengeance is mine)], del grandissimo Imamura Shohei (今村 昌平).
15 Attore feticcio di Itami Juzo, vinse il Blue Ribbon Award per la sua interpretezione in questo film, a dir poco straordinaria, ma sono convinto che alcuni tra gli utenti del forum lo abbiano riconosciuto soprattutto grazie ad una delle sue ultime performance. Parlo del ruolo del signor Sasaki, in Okuribito [(おくりびと), Departures], di Takita Yojiro (滝田 洋二郎), film vincitore dell'Academy Award, nel 2009, per il miglior film straniero e che fruttò a Yamazaki il premio come miglior attore non protagonista ai Japanese Academy Award.
Messaggio modificato da JulesWU il 04 March 2017 - 05:17 PM