Lullaby of the Earth
Daichi no komoriuta
Anno: 1976
Durata: 111 min.
Genere: Drammatico
Regia: Yasuzo Masumura
Cast:
Mieko Harada, Eiji Okada
Meiko Kaji, Kinuyo Tanaka
La giovane Rin vive in una capanna fra i monti con la nonna che l'ha cresciuta. Quando l'anziana donna muore, la ragazza prova a nasconderne il cadavere e a trattarla come se fosse ancora viva, ma il suo strano comportamento viene presto scoperto. Rimasta sola, poco tempo dopo riceve la visita di un uomo apparentemente gentile e cordiale che tenta di convincerla ad accettare un lavoro su un'isola, allettandola con la prospettiva di una vita più decorosa e facendo leva sui suoi punti deboli. Nonostante la nonna l'avesse avvertita di diffidare di chi si fosse presentato con questi modi, la giovane accetta e finisce a lavorare in un bordello.
Commento di Meiko Kaji
"Io ci vedo. Ci vedo chiaramente."
"Vedere è vedere", arriva a dire l'ancora adolescente Rin. Non importa se si veda con gli occhi. Accanto alla statura interiore, che alla fine la sorreggerà nel viaggio verso l'illuminazione, cullata dalle divinità della terra, c'è la bambina spaventata, la cieca Rin che alla fine ammette tutta la sua disperazione, priva di maschere.
Spesso le persone dotate di particolari doni interiori e sensibilità soffrono intensamente, più delle altre, quando la loro natura tendente alla trascendenza non viene capita o addirittura calpestata.
Questa tendenza, in Rin, si era mostrata molto presto, alimentata dal rapporto con gli insegnamenti della nonna riguardo al contatto con la Natura, e dal successivo dialogo segreto con la donna che per lei non è mai morta. La bambina, cattiva agli occhi dei compaesani, che tiene ancora accanto a sè la vecchia che le ha insegnato a chiedere aiuto alla terra, che le ha insegnato a pregare, anche se lei ancora non lo sa, non può rassegnarsi alla vita del bordello.
Le altre, prima o dopo, hanno dovuto, hanno potuto cedere.
In Rin, invece, è sempre la sua proiezione che parla, in un crescendo di proiezioni (che si esprimono nei forti contrasti interiori che la dilaniano), che si spezza nel momento in cui può rivelare finalmente chi è, una persona alla quale era stato proibito di esprimere la gratitudine verso qualcuno o qualcosa. Togliere questa possibilità, chiudere questa fonte, penso sia una delle sofferenze più grandi per alcune persone. È come se mostrassero continuamente delle bellezze indicibili, per vedersele calpestate da uomini insensibili incapaci di coglierle, che trascinano continuamente in basso, al loro stesso livello di esistenza.
Delle scene che preferisco, forse la più grandiosa (meno grandiosa, più intima, ma non da meno, è quella della pura Rin che prova il bel suono delle campanelle) è quella che termina con la preghiera, il dono del suo sè profondo al pastore, e che è subito seguita - forse è quello che mi piace più di tutto - dallo splendore della pellegrina che era rimasta nella ragazzina spaventata, mostrata da Masumura prima da lontano, poi, entrata in primo piano, dal basso. Tanto meraviglioso splendore, difeso con le unghie, alla fine può mostrarsi! La gratitudine della cieca Rin è la scintilla che accende il fuoco dell'interiorità, che la rende Uno con l'Anima. Non è una pellegrina che vuole espiare qualche peccato (che peccato avrebbe mai commesso?), ma la natura profonda dell'essere umano che risplende tramite l'aver potuto essere, finalmente, quello che era sempre stata.
Davvero commovente il tema di Tokiko Kato, splendidamente trattato da Jiro Takemura, nel quale scorgo nel contempo un incedere maestoso che gli evita le trappole del sentimentalismo, trasformandolo in un inno.
(versione: bluray)
Traduzione: Meiko Kaji
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Messaggio modificato da fabiojappo il 23 August 2017 - 01:42 PM