Inviato 28 April 2008 - 04:39 PM
Una magnifica Maggie Cheung (al suo apice: ci regala due-tre scene da manuale della recitazione) la fa da padrone in un film totale, che sfugge a qualsiasi etichetta (sembra un classico biopic, ma in realtà si rifiuta di esserlo): c'è dentro uno sguardo politico (la Cina e l'eco dei sommovimenti durante l'occupazione giapponese), il gusto filologico intriso di nostalgia cinefila (la ricostruzione il più fedele possibile di un'epoca del cinema e dei suoi brandelli in celluloide andati perduti per sempre), l'urgenza di documentare una storia esemplare che non ha perso attualità (non a caso non viene meno la tentazione di fare dei parallelismi tra ieri ed oggi), e che sta a cuore di Kwan (il suo cinema è sempre sensibile a quegli attriti che possono instaurarsi tra l'individuo e il contesto in cui si muove che rischia di soffocarlo), il tentativo di sperimentare sul linguaggio cinematografico (la messa in scena è continuamente contaminata da elementi eterogenei: b/n e colore, immagini di repertorio e simulacre, finzione e realtà, si mescolano senza soluzione di continuità), destrutturandolo nel suo rapporto con il vero che vuole rappresentare e svelandone così l'artificio finzionale. Tutti tasselli che si sviluppano all'unisono per concorrere a costruire un mosaico sfaccettato, metacinematografico ed eclettico, di cui si fa fatica a comprendere la natura profonda. L'opera di Kwan è un film nel film (la storia della produzione di una pellicola che racconta la vita di Ruan Ling-yu, come suggerisce il titolo originale Yuen Ling-yuk, dal nome cantonese dell'attrice)? Oppure è un'inchiesta documentaria a mo' di lungometraggio di fiction (la voglia di interrogare e di rievocare il dietro le quinte di un'esistenza sotto i riflettori - prendendo le mosse da un dibattito veritiero interno al film, animato da persone disparate - per mezzo della sua ricostruzione per immagini, come può far pensare il titolo internazionale, Center Stage)? Entrambe le cose, forse. Rimane il fatto che Kwan dimostra una capacità per me eccezionale di intessere atmosfere eloquenti di un sentimento, di un'epoca, di un istante preciso (decisivo l'uso disinvolto di carrelli, dolly e inquadrature dal vago sapore classicheggiante), capaci di far rivivere veramente il passato nel presente di una finzione alla ricerca del tempo perduto.
Consiglio di vedere The Goddess, Song of the Fishermen e Spring in a Small Town (già tutti sottotitolati dal buon Dan) per entrare appieno nell'ottica di Center Stage.
Voto: 8