Jia
The Family
Titolo originale: Jia
Titolo internazionale: The Family
Produzione: Cina - Australia, 2015
Prodotto da: Shen Lijiang
Lingua: cinese
Genere: Drammatico
Durata: 280' (4h 40 min)
Montaggio: Liu Shumin
Fotografia: Liu Shumin
Regia: Liu Shumin
Presentato alla 72esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia all'interno della Settimana della Critica
IMDb
Trama
Liu e Deng sono un'anziana coppia sposata da quasi mezzo secolo che vive in una piccola città dell'entroterra cinese. La figlia maggiore Liqin, divorziata con un figlio adolescente, vive con loro. La seconda figlia Xiaomin e il figlio più giovane Xujun vivono in città lontane, sposati e con le proprie famiglie. Inoltre sono troppo occupati per andare a trovare i genitori, quindi la coppia di 70enni decide di intraprendere un lungo viaggio per andare a trovarli. Sarà un viaggio speciale in cui faranno di tutto per tenere la famiglia unita nonostante la distanza, essendo la famiglia il loro unico scopo nella vita.
Cast
Deng Shoufang ... Deng, la madre
Liu Lijie ... Liu, il padre
Liu Xiaomin ... Xiaomin
Jiang Jiangsheng ... Jiangsheng
Chen Erya ... Pingping
Huang Liqin ... Liqin
Liao Zepeng ... Pengpeng
Liu Xujun ... Xujun
Recensione [estratto da Quinlan.it]
[...] Liu ci parla direttamente della qualità del vivere del suo paese, della disgregazione sociale, della scomparsa del passato. Per farlo, sceglie di lavorare sulla durata, sul tempo, sull’attesa – come in certo modo il primo Jia Zhangke, quello ad esempio di Xiao Wu e di Unknown Pleasures – dilatando fino allo spasimo i mille piccoli eventi di cui è composto il suo film, tanto da arrivare a un minutaggio decisamente impegnativo (280 minuti). In questo ritratto di famiglia fortemente debitore dell’Ozu di Viaggio a Tokyo, finisce per emergere allora un racconto dell’evenemenziale, un annullarsi nei riti quotidiani, una fatica della parola e dell’esprimersi tra consanguinei che dà il polso di un popolo sradicato, incapace di ritrovarsi. Il cibo – e soprattutto la ritualità del cucinare – resta allora l’unico legame, l’unico appiglio per tener viva la memoria… o forse si tratta anch’esso di una parvenza, del segno fantasmatico di un vivere comunitario ormai dissoltosi (e non è un caso che un pranzo non consumato sarà il controcampo della morte). Vediamo perciò i due anziani protagonisti andare a far visita ai tre figli, ciascuno con una vita e una famiglia propria e ormai dimentichi del concetto di fratellanza. La maggiore infatti avrebbe bisogno di soldi, tanto che sua madre prova a chiedere un prestito per suo conto agli altri fratelli, con scarso successo. Nel frattempo, il padre passa le sue giornate davanti alla TV, vittima di un’inerzia sempre più inesorabile.
Tutto giocato su un minimalismo formale e su un occhio istintivamente documentaristico (le lunghe inquadrature fisse dei personaggi che si sperdono in strada tra la folla, o che – viceversa – fanno sorprendentemente capolino in campo lunghissimo, ci ricordano la consustanziale piccolezza dell’esistere), The Family si regge su degli equilibri sbalorditivi quanto estremamente fragili: quello secondo cui il giudizio autoriale resta assopito e in qualche modo nascosto nei riti quotidiani e quello che prevede la costante compresenza di fiction e documentario, della ripresa dal vero e dell’artificio.
Tutto questo viene però a tratti a mancare, sia per una condanna che di tanto in tanto si fa troppo esplicita, sia per alcuni elementi formali un po’ azzardati (come un paio di dolly), sia soprattutto per una svolta narrativa nel pre-finale che chiude il tutto in una dimensione narrativo-simbolica, rischiando di occludere la potenza dello sguardo. Si tratta però in fin dei conti di dettagli, di sovrastrutture che non intaccano la potenza dell’ambiziosissima struttura, quella di un racconto semplice e lineare racchiuso in una durata quasi-abnorme. E, ben lungi dal poter essere additato come un difetto, è proprio in questa sua apparente discrasia che si coglie la potenza di The Family, nella sua capacità di lavorare sulle sfumature, nel far emergere alla lunga doppiezze ed ambiguità dei suoi protagonisti (come nel litigio tra il padre e l’unico figlio maschio), in un modo che solo un raffinato romanziere è in grado di fare. E allora, non ci sembra di sbagliare nell’identificare in Liu Shumin un nuovo importante cantore della Cina contemporanea, di quella Cina sempre meno disposta a riconoscere se stessa e a guardarsi allo specchio.
Intervista al regista su Quinlan.it
A cura dello Staff di AW
Buona visione!
Messaggio modificato da fabiojappo il 17 May 2021 - 11:25 AM