With a Girl of Black Soil
(Geom-eun Ddang-eui So-nyeo-wa)
Corea, 2007
Regia: Jeon Soo-il
Sceneggiatura: Jeon Soo-il e Jeong Soon-yeong
Interpreti: Yoo Yeon-mi (Yeong-rim), Park Hyeon-woo (Dong-goo), Jo Yeong-jin (Hae-gon)
Versione sottotitoli: KMP
to soil: sporcare, insudiciare, imbrattare, macchiare, insozzare; (fig) corrompere, depravare, contaminare; infangare, lordare.
Presentato a Venezia l'anno scorso, "With a Girl of Black Soil" appartiene al cinema cosiddetto indipendente sudcoreano, che con sempre maggior vigore sta scavando un solco nei confronti del cinema mainstream. Da due anni a questa parte, da quando sono state dimezzate le quote (ovvero il numero di giorni durante i quali i cinema sudcoreani erano obbligati a proiettare esclusivamente film coreani) il cinema di cassetta deve fare i conti con una lotta quantomeno ardua con(tro) i colossi hollywoodiani (gli stessi che hanno fatto pressione per dimezzare le quote, che strano) da una parte, dall'altra cercano di "farsi belli" agli occhi dei produttori americani nella speranza di veder premiati i loro sforzi con l'acquisto dei diritti per l'ennesimo remake. Questo non significa che non possano uscire dal circuito ufficiale ottimi prodotti con risultati molto buoni sia come qualità che come pubblico (un caso su tutti, "The Chaser"), ma che il margine lasciato per raccontare storie normali di gente normale è sempre più esiguo. Così da qualche anno il cinema indipendente ha trovato la sua ragion d'essere in quel margine, raccontando (mi si scusi il gioco di parole) sempre più spesso storie di gente "ai margini", in netto contrasto, anche e soprattutto visivamente, col modo di fare cinema cui la Sud Corea ci ha spesso abituato in quest'ultimo decennio. Non mi pare che l'aggettivo "neorealista" sia completamente fuori luogo nel caso di film come questo o del successivo "Cherry Tomato": illustrati con una fotografia volutamente sporca, limitata sicuramente anche dalla scarsità dei mezzi a disposizione, con riprese spesso poco dinamiche (non è corretto parlare di "riprese fisse", perchè spesso come in questo caso si usano quasi esclusivamente camere a mano), questi film raccontano attraverso le voci di quelli che i ricchi chiamerebbero "morti di fame" le loro vicende, o meglio come è peculiare in tutto il cinema, un solo, importante pezzetto della loro vita, attraversato il quale i personaggi acquistano, volenti o nolenti, maggiore consapevolezza, insomma "crescono" e vedono il mondo in maniera diversa.
Protagonista di questa brusca "crescita" è la piccola Yeong-rim, che a soli 9 anni si trova (costretta) a prendere decisioni molto più grandi di lei. La mancanza di una figura materna all'inizio non sembra costituire un peso eccessivo, nè la povertà, nè la necessità di accudire un fratello mentalmente ritardato. E' la sua vita, e la vive senza deprimersi nè lamentarsi, con coraggio innato ed anche sicuramente acquisito, accudendo il fratello come farebbe con un fratello più piccolo, provando attrazione verso il pianoforte o intenerendosi, assieme al fratello, per dei gattini. E' quando le comincia a mancare anche la figura paterna (non solo nei suoi confronti, ma anche in quelli del fratello) che perderà quell'innocenza infantile che anche la più piccola Da-seong, protagonista di "Cherry Tomato", aveva perso ("Ho rovinato un angelo come te" è quello che dice il nonno di Da-seong, nei sottotitoli).
Queste vicende si svolgono sullo sfondo di una realtà di un piccolo villaggio minerario come tanti, di tante persone che per una vita hanno fatto un lavoro pericoloso e che li ha distrutti fisicamente, e del quale molti moriranno. Realtà non dissimile da quella di molti nostri operai, che magari per decenni hanno respirato l'amianto perchè i datori di lavoro, leggi alla mano, non lo ritenevano pericoloso. Di certo non ho mai sentito di qualcuno morto per aver contato troppe volte troppi soldi. In questo film i capi sono anche luridi ma piccoli truffatori, ancora più meschini perchè truffano la povera gente. E' un contesto forte, gelido, senza speranza questo suolo nero, eppure personalmente lo trovo credibile ed onesto, con meno retorica e ipocrisia di gran parte del resto cinematografico. E' questo il cinema che mi piace: quello che va nella direzione di un recupero della sua capacità di emozionare e raccontare senza sbragare, senza affabulare con storie inverosimili che durano giusto il tempo di un paio d'ore, che si limita a mostrare le brutture che imbruttiscono anche le cose più belle.