(Telec)
di Aleksandr Sokurov

ver. Dixie
Anno: 2000
Nazionalità: Russia
Sceneggiatura: Jurii Arabov
Fotografia: Aleksandr Sokurov
Montaggio: Leda Semenova
Musica: Andrej Sigle
Durata: 101' min.
Cast: Kanu Leonid Mozgovoj, Maria Kuznecova, Natalia Nikulenko,
Sergej Ražuk, Lev Eliseev, Nikolaj Ustinov
In una casa immersa nei boschi, Lenin trascorre gli ultimi giorni della sua vita: nel 1923, a soli 51 anni, la sua salute è compromessa, il suo corpo allo stremo, la sua mente annebbiata. Fuori il Paese è flagellato da gravi sommovimenti sociali, ma il grande leader, rinchiuso e sotto sorveglianza, è tenuto lontano dal potere. Tra momenti di agonia e rabbia, lucidità e assopimento, umilianti visite di compagni e la presenza fedele della moglie, Lenin vive la tragedia di chi ha contribuito a cambiare la storia e ora, immobilizzato dalla malattia e imbalsamato ancor prima di morire, si sente inesorabilmente abbandonato.
raitre.rai.it
Ancora un film sulla morte, con qualche particolarità: la morte è quella di Lenin e il film di Aleksandr Sokurov, Taurus, è bellissimo, ricco di raffinatezza, intelligenza, pathos e crudeltà. Lenin morì a Gorkij, in una villa circondata da un gran giardino, il 21 gennaio 1924. Verso la fine del 1921 aveva cominciato a soffrire di nausee, vomiti, terribili mal di testa. Nel maggio 1922 ebbe la prima emorragia cerebrale, con paralisi del lato destro del corpo e difficoltà a parlare: ma si riprese, tornò a lavorare, a pronunciare discorsi in sedi politiche. In dicembre ebbe inizio un peggioramento: spesso costretto a letto, non poteva più scrivere e i medici gli permettevano di dettare ai segretari per appena tre minuti al giorno. Nel marzo 1923 ebbe un'altra emorragia cerebrale. Visse ancora qualche mese da invalido, assistito dalla moglie e dalla sorella. Poi morì. Aveva 54 anni. Il film di Sokurov racconta Lenin alla fine, malatissimo però ancora capace di lucidità. A Stalin che lo visita chiede di cancellare il divieto di scrivere lettere e telefonare, implora un modo per uccidersi: "Sì", dice Stalin. "Ma ci vuole il parere del Politburo". Lenin è circondato da infermieri, medici, guardie, spie, immerso in quell'atmosfera tetramente sciatta, indifferente, impaziente, riservata ai malati cronici. Si muove appena, ha bisogno d'assistenza in tutto ("La mia situazione è catastrofica"), avverte le premure della moglie come un'oppressione ("Vivere con una donna è una tortura"). Lo chiamano Signor Leader. Affiorano i rimorsi: "Mi hanno raccontato di soldati che nutrivano le loro famiglie con il fegato di quelli che avevano fucilato... Il popolo muore di fame e noi viviamo nel lusso, che vergogna". A volte, esasperato, immensamente stanco, grida forte, rauco. La sua agonia somiglia a quella futura del comunismo. Tutto intorno a lui è impreciso, flou, come visto con occhi appannati dalle lacrime, affondato in una nebbia grigiazzurra. Il simbolo del potere è ridotto all'impotenza dalla malattia, e l'esattezza nel descrivere la malattia, simbolo dell'esautorazione, è stupefacente. È bravissimo il protagonista Leonid Mozgovoi, lo stesso attore interprete di Hitler in Moloch, il precedente film di Sokurov: il prossimo, in questa stupenda trilogia di dittatori, sarà dedicato all'imperatore giapponese Hiro Hito.
Lietta Tornabuoni (La Stampa)
[...]In Taurus, Sokurov compie un passo ulteriore, ponendo invece il Potere direttamente di fronte alla Morte. Il Lenin vecchio e malato (interpretato sempre dal grandissimo Leonid Mosgovoi) è un essere meschino ed egoista, che cerca di aggrapparsi disperatamente alle sue ultime energie, alla sua residua ed illusoria autorità, pur di rinviare l'appuntamento con la fine. La memoria della passata grandezza si traduce nell'arroganza con cui il despota tratta gli altri, ma è un'arroganza inutile, sterile, che cozza con la strafottenza e il sarcasmo della servitù. Lenin non è già più come l'Hitler di Moloch: minaccia punizioni e frustate, ma il suo è il grido impotente di chi non vuole accettare la propria estrema sconfitta. È come se il vecchio venisse trattato da bambino: lo si lascia sbraitare e far i capricci, ma non gli si dà per nulla ascolto. Al massimo, gli si mente pietosamente. E così, quando chiede perchè mai non arrivino telefonate dal comitato centrale, gli altri replicano che probabilmente le linee sono saltate. Persino la verità viene negata, nascosta, come se non ce ne fosse più bisogno. La nebbia verde e esiziale ricopre tutto, riducendo i corpi ad apparenze spettrali. Il Potere crolla di fronte alla Morte. L'unica cosa che esso può fare è "migrare", transustanziarsi in un altro corpo e in un'altra esistenza. Lo Stalin che si reca a colloquio col maestro è già il nuovo involucro carnale dell'entità metafisica del Potere: si muove con l'arroganza e la sicurezza che gli assicura il suo nuovo status, attento solo a mantenere una parvenza di "sottomissione", che è di un'ipocrisia agghiacciante. Il punto è che, sebbene Sokurov non ce lo mostri direttamente, s'incomincia a far strada l'idea che il ciclo si compia continuamente: che anche quel nuovo corpo sarà logorato dal tempo e sarà costretto a cedere il suo scettro ad un corpo nuovo. È solo nel suo essere fluido e proteiforme che il Potere può garantirsi una sopravvivenza. Ai corpi abbandonati dal mostruoso Leviatano non resta che rassegnarsi alla propria "umanità", farsi cullare (incoscienti?) negli ultimi giorni da qualche presenza affettuosa, sino a che nel finale le nebbie si diradano e un tenue sorriso può illuminare il volto. È un epilogo più speranzoso quello di Taurus: sembra dirci che, privata della tragica maschera del potere, la fragilità umana è comunque degna di commiserazione.
[...] Il cinema di Sokurov non si pone l'obiettivo di dare un'interpretazione storiografica degli avvenimenti. Il suo cinema cerca di comprendere l'essenza stessa della Storia, svincolandola dal suo svolgimento temporale e proiettandola in una dimensione universale, in un'ottica esistenziale in cui viene ad essere la risultante di opposte forze e tensioni: la vita, la morte, il potere, l'umanità.
Aldo Spiniello (Effettonotteonline.com)
Unione Sovietica, 1922. Dopo gli anni di spinta della Rivoluzione di ottobre le difficoltà del regime si mostrano con evidenza. Lenin, 51 anni, viene colpito da un attacco cardiaco e la sua salute declina rapidamente. Le sorti dell'immenso Paese vengono prese in mano da un triumvirato formato da Zionoviev, Kemenev e Stalin. Quest'ultimo viene nominato Segretario del Partito. In questa situazione Sokurov colloca il secondo capitolo della sua analisi del potere attraverso gli uomini che lo rappresentano. In Moloch si trattava di Hitler, mentre qui il regista tratteggia due figure che hanno segnato direttamente il destino del loro popolo. Ma le coglie nel momento della dissoluzione fisica (Lenin) e del configurarsi di quella morale (Stalin). Sono due morti prima ancora di morire. Lenin è il Taurus della situazione (cioè il simbolo della forza destinato a essere sacrificato e quindi profondamente solo) in lotta costante con la progressiva perdita di lucidità che lo tormenta. Mentre Stalin è già l'accorto regista di un terrore che incute a tutti dietro un apparente sorriso. Lenin si avvia alla morte in una casa dello Stato che non gli appartiene così come non gli appartiene più la Rivoluzione. La nebbia invade le stanze e ammorba le inquadrature, mentre i servi (che non sono stati elevati ad altro rango) cercano di rubare da dietro le porte brandelli di una Storia che vuole restare segreta.
Giancarlo Zappolli (Mymovies.it)
Messaggio modificato da JulesJT il 21 December 2014 - 03:05 PM
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