DA LEGGERSI SOLO DOPO UNA PRIMA VISIONE DEL CAPOLAVORO
E’ ormai chiaro a tutti di come l’intera opera di Kawasaki esca dai confini, pur indefiniti, dell’arte cinematografica ed entri, con autorità, nella più ristretta per numero ma illimitata nell’effetto, cerchia dei Testi Sacri.
E come testo sacro, secondo le indicazioni espresse da Dante nel “Convivio (II, 1)”, mi accingo ad annotare alcune considerazioni, certamente non esaustive data la complessità dell’Opera, suddividendole per i quattro sensi di cui tali “scritture si possono intendere e debbonsi sponere”.
Tale polisemia, in opere di tale grandezza, fa sì che le chiavi di lettura non si escludano fra loro ma si integrino e ‘parlino’ direttamente al grado di coscienza (o ricettacolo dell’anima, se preferite) del fortunato spettatore \ iniziato.
Letterale
“Executive Koala” si presenta come uno dei vertici del thriller psicologico, forse la vetta più alta dai tempi di ‘Psycho” (non a caso appare il Calamaro Wrestler, come comparsa \ citazione hitchcockiana). La magistrale capacità di mantenere il protagonista in uno stato di ambigua identità riguardo la propria malvagità o innocenza, fa si che Kawasaki riesca a condurci fino al magnifico e catartico finale, senza che la nostra tensione e curiosità vengano meno, nemmeno per un istante. Disturbanti le sequenze oniriche. Allucinante, benché illuminante, il musical.
Allegorico
E’ evidente che l’enorme testone peloso del Koala è in realtà un testone interiore. Il Nostro si aggira per la città senza che nessuno noti l’evidente stranezza (tranne il caso della ragazza nel market, che ha funzione rivelatrice dell’allegoria stessa). Perché? Perché lo stato di koala è lo stato dell’uomo ‘vero’ all’interno dell’uomo contemporaneo (rappresentato dal coniglio, apparentemente superiore ma, in origine, subalterno). Quasi estinto, incapace distinguere il bene dal male all’interno di un sistema di valori totalmente superficiale, in perenne rimpianto per un ‘amore’ perduto che non si può sostituire, il Koala si aggira smarrito e indifeso fino alla presa di coscienza finale, alla morte nello scontro coi propri fantasmi e alla rinascita \ riappropriazione degli stessi come ‘parti’ di sé.
Sarà aiutato, in questo processo, dalla Rana Onnisciente, vero ‘deus ex machina’ del film, come qualcuno ha già sottolineato, e istigatore del dubbio, motore della storia di finzione (?) e di ogni vera ricerca interiore.
Morale
Ovvero che insegnamento trarre da questa vicenda così giapponese nel contesto ma universale nel monito.
I ritmi disumani del lavoro, i binari preconfezionati entro i quali far muovere il treno dei nostri desideri e aspirazioni sono troppo angusti e ingiusti per il koala \ uomo che è in noi. Inevitabile la deflagrazione interiore e il suo occultamento (l’amnesia). Quando tocchiamo il fondo, ci dice Kawasaki, quando sembra non ci siano più speranze, ricordiamoci dell’appuntamento con l’Amore, ritroviamo le chiavi del nostro cuore (ognuno di noi ha un Momo che le conserva) e lottiamo per conquistare ciò ci spetta di diritto, ciò che è nostro da sempre: lo Spirito dell’Uomo Libero.
Anagogico
Come nella ‘Commedia’ dantesca, anche il nostro Koala si trova nel ‘mezzo del cammin’.
Un buon impiego. Stimato dai superiori. Apparentemente senza problemi ma in realtà in grave pericolo. E’ un anima in bilico tra il perdersi nelle banalità di una vita fittizia pensata da altri (lo psicanalista) e la ricerca del vero Senso delle cose.
Anch’egli ha bisogno di una Beatrice che lo trasporti dagli inferi della sua natura bestiale (il koala ‘sadico e cattivo’) alla resurrezione nell’abbagliante Aurora universale in cui solo il futuro, come dice egli stesso, è importante.
Geniale l’uso di Yoko \ Yukari in questo senso. Quasi speculare alle due guide di Dante.
Le nozze finali e celesti di Keiichi e Yukari altro non sono che il ricongiungimento dell’anima con il suo Principio.
La lotta col Maestro di Sinanju è simbolo della ‘violenza’ che, di questi tempi, il Regno dei Cieli deve subire (Cfr. Matteo. 11, 12), affinché questo possa avvenire.
Il sacrificio del commissario (principio normativo), è l’abbandono della ragione, utile ma limitata, al fine di trovare ciò che è aldilà e la trascende \ comprende.
L’apparizione della Rana nel finale è la parusia del Maestro, Angelo o Avatar, se preferite (in senso induista), come testimone e motore di ogni reale cambiamento micro o macrocosmico.
Agli inevitabili scettici chiedo solo di notare la non certo casuale aureola che circonda il Koala nelle scene finali.
Ringrazio ancora l’amico Lordevol per aver tenacemente ed economicamente perseguita la diffusione di questo Verbo cinematografico e aver dato modo, al vostro affezionatissimo, di contribuire modestamente alla sua comprensione.