The Prisoner (Yûheisha - terorisuto)
Regia: Masao Adachi
Sceneggiatura: Masao Adachi
Interpreti: Tomorowo Taguchi, Panta, Taka Ôkubo, Jôji Kajiwara, Arata, Shôichi Honda, Hiroshi Yamamoto
Nazionalità: Giappone
Genere: Drammatico/Thriller
Durata: 113'
L'immaginario «terrorista» contro l'era del controllo
Masao Adachi torna al cinema dopo trent'anni con «The Prisoner», la storia dell'Armata rossa giapponese nella prigionia di un militante. Un'immagine tra finzione e realtà, che è stata il segno del Festival di Rotterdam
Uno in Olanda, l'altro alla Berlinale, Masao Adachi e Koji Wakamatsu i vecchi amici e complici di cinema, autori esplosivi e assai scomodi nel Giappone degli anni Sessanta come in quello di oggi, hanno sentito nello stesso momento l'urgenza di confrontarsi con un pezzo di Storia del proprio paese. Che li ha visti protagonisti, specie Masao Adachi «esiliato» in Libano per vent'anni dove nel 2000 insieme a altri attivisti dell'Armata rossa giapponese viene arrestato e espulso per una storia di passaporti falsi, estradato in Giappone e messo in galera con l'accusa di terrorismo. La storia dell'Armata rossa giapponese si chiude in questi anni, nel 2000 viene arrestata a Osaka Fusaku Shigenobu che tutti credevano vivesse anche lei in Libano, una delle figure più importanti del gruppo, condannata a vent'anni. Nessuno dei due film - Cronache dell'Armata Rossa di Wakamatsu sarà al Forum - è arrivato in Italia, Wakamatsu pensava di andare a Torino ma a Nanni Moretti il virus di quel cinema non addomesticabile non poteva piacere. Meno che mai il film di Masao Adachi The Prisoners /Terrorist che non è la «biopic» di un terrorista e nemmeno del movimento cresciuto in Giappone negli anni settanta contro il sistema interno di monarchia e saturazione sociale e con la rivendicazione (in questo più vicini ai tedeschi della Rote Armee Fraktion che alle Brigate Rosse) di una dimensione internazionalista, soprattutto la lotta accanto al fronte di liberazione palestinese. Lo stesso Adachi ha combattuto a lungo con l'Olp convincendo Wakamatsu a girare un film sulla realtà dei palestinesi quando il regista, che pure amava moltissimo JL Godard non sapeva neanche dell'esistenza di Ici et ailleurs. Come Godard con quel film sulla Palestina anche Wakamatsu è stato attaccato come pericoloso fiancheggiatore del terrorismo.
Il Prigioniero però è un film tutto «interiore», che quella storia la narra per raccontare il presente: il Giappone dove il governo di destra vuole ripristinare l'atomica, e soprattutto l'ideologia di guerra-al-terrorismo che ha permesso un fine azzeramento dei cervelli a livello mondiale. A parte alcune sequenze iniziali tipo flashback, col protagonista che si dice ispirato a un altro leader del gruppo, Kozo Okamoto (ma anche al regista), kefiah sulla testa e mitra tra le braccia mentre insieme agli altri decidono un dirottamento, le azioni del gruppo restano nel fuoricampo. Infatti il ragazzo è già nelle mani dei militari giapponesi, ha raccontato tutto con la promessa del suicidio ai due graduati che gli ridono in faccia: l'arma è scarica, per lui ci sono i corpi speciali e un carcere di massima sicurezza. Quelli insomma tipo Guantanamo, dove si sperimentano le torture più atroci disumanizzando la gente nel rito umiliante della violenza quotidiana. Ma l'ellissi, e la scelta di concentrare la narrazione nelle sevizie della polizia e nel dialogo muto del personaggio, spiega più di qualsiasi messinscena. Ci dice con chiarezza come è facile impazzire perdendo lucidità anche politica se si vive in un paese che usa la repressione come fondamento sociale, il Giappone ha prodotto una disperata resistenza negli anni sessanta-settanta di movimenti studenteschi che rifiutavano le imposizioni internazionali degli americani ma anche il controllo dell'individualità messo in atto dai suoi governanti come antidoto alla sconfitta della guerra. La società ordinata, dai piccoli gesti misurati, coi padri divinizzati come l'imperatore e il disagio del protagonista quando è adolescente e sotto gli occhi paterni un poco di riso dalle bacchette gli cade sulla tavola obbliga a esplodere, altrimenti appunto si impazzisce ... Come gli «angeli violati» che popoleranno più tardi i film del 68 di Wakamatsu sceneggiati da Masao Adachi, pezzi di erotismo estremista e rivoluzione mondiale ... Il cinema di Masao Adachi riparte da qui e dunque è ancora più spiazzante. Nella cella il ragazzo è preso a calci, drogato, trasformato in cane, costretto a mangiare dalla mano di un altro prigioniero stessa tuta arancio delle prigioni americane. E stessa motivazione, sono terroristi, vanno distrutti poco a poco, non hanno diritti perché minacciano il mondo, i militari giapponesi somigliano nel loro essere senza volto ai soldati americani in Iraq che portano i prigionieri al guinzaglio e a tutta quella retorica del terrorismo e della conseguente sicurezza con cui mandare fuori di testa resistenti, antagonisti, studenti, no global, cittadini senza che nessuno più si scandalizzi, anche a sinistra, perché la posta in gioco è il mondo/occidente.
Adachi che è stato sceneggiatore di pink movie, i soft porno giapponesi, e regista di serie «b», non girava film vista la sua situazione politica da trent'anni, e in questo suo ritorno il fare cinema del passato c'è tutto ma con potenza sovversiva al presente, nel corpo a corpo tra immaginario e una realtà quasi «documentaria». Fantasmi giapponesi che diventano il fantasma della rivoluzione, la sua impossibile sfida a un sistema che isolandolo lo ha reso debole e sconfitto. Osservato da telecamere come in un «grande fratello», manovrato nelle sue reazioni e persino nell'idea di essere ancora «libero», il Prigioniero/terrorista incarna una condizione contemporanea a cominciare dal cinema, la replica delle telecamere di sorveglianza nel reality o in YouTube e il suo contrario, ovvero il controllo senza limiti e ormai fuori dal genere, sul confine sempre più ambiguo di realtà/finzione. Un film inquietante e una sfida attuale. (Cristina Piccino)
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