The East (2013), scritto e diretto da Zat Batmanglij, co-sceneggiato da Brit Marling.
Sarah (Brit Marling), una giovane agente facente parte di una società d'élite di intelligence privata, riceve l'incarico di infiltrarsi sotto copertura in un misterioso collettivo anarchico, che attacca le grandi aziende. Con l'obiettivo di monitorare da vicino i fuggiaschi e assicurarli a chi di dovere, si ritroverà a testare la sua lealtà quando si renderà conto di essere attratta da Benji (Alexander Skarsgård), il leader carismatico del gruppo.
Questo film è opera del duo Batmanglij-Marling, già autore del notevole Sound of My Voice, thriller "esoterico" dell'anno prima. Senza contare che l'attrice e sceneggiatrice Brit Marling aveva scritto e interpretato nel 2011 lo splendido Another Earth, per la regia di Mike Cahill.
La particolarità di questi 3 ambiziosi film, che hanno in comune, innanzitutto, l’intensità e al tempo stesso la delicatezza e le sfumature dell’interpretazione della Marling, sembrano a tutti gli effetti un corpus unico. Che cerca, in prima analisi, di fondere (e rifondare?) il cinema di genere con quello d’autore (la triade è infatti piuttosto lontana, in quanto a stile e a contenuti, tanto dai cliché hollywoodiani più logori, quanto da quelli di certo cinema indy tipico del Sundance Film Festival).
Venendo a quest’ultimo film, non è certo l’originalità la sua massima virtù, e c’è da dire anche – e lo dico cercando di essere forzatamente obiettivo (ma il cuore scalpita e si ribella) – che anche la bella Brit tende a mostrare un po’ i limiti del suo approccio “no-global chic” (perdonate l’orrido neologismo altrettanto “chic”) alle questioni più spinose della nostra epoca. Che qui è l’ecoterrorismo e la sua lotta in primis contro l’atteggiamento da struzzo dei media e dell’opinione pubblica dinnanzi allo sfacelo ambientale e alla mancanza di scupoli di chi ci si arricchisce sopra.
Il cast qui è più importante rispetto agli altri due film, ma pur sempre indy: compaiono infatti a fianco di Brit una convincente, incazzatissima Ellen Page, e addirittura Alexander “True Blood” Skarsgård, nei panni del carismatico capo della “setta”. Sì, perché anche qui, come in Sound of My Voice (assai più misterioso e affascinante, e che proprio di una setta religiosa trattava), l’indagine si focalizza sulle dinamiche di un gruppo chiuso, che apparentemente balla da solo (ma che esiste poi per far ballare gli altri), dove la femezza d'intenti va a braccetto con una democrazia reale, che trova corrispondenza anche nei gesti e nell'attenzione verso l'Altro; un gruppo che se ne va per i cazzi suoi, e viaggia veloce contromano, perennemente sotto la minaccia di un'impolosione dovuta unicamente a quella purezza così estrema che sconfina con l'(auto)annientamento.
E Brit Marling, di nuovo, come nel caso delle due Terre del suo primo film, si ritrova ad essere “un’anima divisa in due”, fra un'identità in scadenza e un'altra forse troppo lontana da raggiungere...
Messaggio modificato da polpa il 14 October 2013 - 03:32 PM