Un aspetto positivo della lingua giapponese, per noi italiani, è rappresentato dal fatto che la pronuncia non presenta alcuna difficoltà: quasi la totalità dei suoi esiste in italiano.
Ci sono solo pochi punti su cui fare attenzione. Per quanto riguarda le consonanti:
• Tutte le h sono aspirate
• In giapponese non abbiamo una r e una l, ma un unico suono linguale intermedio. La trascrizione ufficiale riporta questo suono come una “erre”, ma è comunque da considerarsi una “erre” dolce.
Per quanto riguarda le vocali invece occorre sapere che:
• Ci sono delle vocali che vano pronunciate lunghe, prolungando un po’ l’emissione del suono corrispondente. Nella trascrizione ufficiale la vocale lunga viene indicata con un tratto orizzontale o con un accento circonflesso sulla vocale. Non bisogna dimenticarsi di questo particolare proprio perché alcune parole differiscono tra loro solo per “l’allungo” di una vocale.
• La vocale u potrebbe creare delle difficoltà all’inizio. Se posta all’inizio di una parola, non presenta particolari problemi. Nel mezzo di alcune parole, invece, sparisce completamente nella pronuncia. Quando è finale, in genere pronuncia, ma scompare da parole come desu, masu, ecc…
• Anche la vocale i sparisce in certe parole, come shita, deshita, hito, ecc…
• La s è sempre sorda come in “salute”, “signora”. Mentre la z è sempre sonora come in “frase”, “cosa”.Tsu corrisponde ad una z sorda seguita da “u” come in “zucchero”,”zuppa”. Gi e ge corrispondono in italiano rispettivamente a ghi e ghe.
Ji, je, ja, jo, ju rappresentano invece i suoni dolci italiani gi, ge, gia, gio, giu.
Ki e ke si pronunciano rispettivamente chi e che.
Chi, cha, chu, che e cho si leggono rispettivamente ci, cia, ciu, ce, cio.
Shi, sha, shu, she e sho si leggono a loro volta sci, scia, sciu, sce, scio.
Questo è tutto quello che occorre sapere sulla pronuncia.
Un altro aspetto incoraggiante della lingua giapponese è la totale mancanza di genere, numero e articolo. Per fare un esempio たまご tamago è “l’uovo, un uovo, le uova, delle uova, ecc…”.
Anche qua la situazione è incoraggiante, in quanto non esistono complicate coniugazioni o tutte le persone che abbiamo nella lingua italiana. Il verbo たべます tabemasu, per esempio, vuol dire: “io mangio, tu mangi, egli mangia, noi mangiamo, voi mangiate, essi mangiano”. Sarà il contesto della frase ad indicare quale persona compie l’azione.
In giapponese gli aggettivi si comportano in modo un po’ diverso da quello che noi siamo abituati a conoscere: si comportano un po’ come i verbi. Cioè cambiano forma secondo che siano al presente, al passato o negativi. Come per i verbi la stessa forma può corrispondere a tutte le persone. ちいさい chiosai vuol dire “è piccolo”, ma anche “io sono piccolo, tu sei piccolo, ecc…”. ちいさくない chiisakunai vorrà dire “non è piccolo”, ma anche “io non sono piccolo, egli non è piccolo, ecc…”
Ciò che differisce completamente dalla nostra lingua, invece, è l’ordine delle parole nella frase: il verbo sarà sempre alla fine e tutti i complementi lo precederanno. Una frase “Ci sono una macchina e una bicicletta in strada” diventerà “Strada in macchina e bicicletta ci sono”. Essendo il verbo alla fine ci saranno delle piccole sillabe, chiamate particelle enclitiche, che indicheranno quali sono il soggetto e i vari complementi affianco alle parole.
Per esempio: パンをたべます pan o tabemasu.
Pan è “del pane”. Tabemasu significa “mangiare”. La piccola “o” fra i due vuol dire che pan è il complemento oggetto di tabemasu. Quindi la frase vorrà dire “Io (o qualsiasi altra persona) mangio del pane”.
Ciò che rende veramente complicato l’apprendimento del giapponese è la scrittura, infatti i giapponesi utilizzano due sistemi diversi contemporaneamente.
Uno è costituito da suoni sillabici ed è chiamato KANA. Praticamente ad ogni simbolo corrisponde un suono ben preciso:
の = no; ろ = ro; と = to; な = na
ecc…
Ci sono due tipi di KANA: gli uni servono a scrivere tutte le parole giapponesi, si tratta dei segni HIRAGANA e si riconoscono perché sono un po’ arrotondati. Gli altri servono a trascrivere le parole di origine straniera, soprattutto i nomi propri di persona o di luogo, ed i nomi comuni. Si tratta dei segni KATAKANA, la loro forma è un po’ più spigolosa rispetto agli HIRAGANA e spesso ancora più semplice. Ciascuno di questi tipi di KANA possiede un numero limitato di segni: 46 per ciascuno.
E’ diversa la questione per quanto riguarda il secondo sistema, quello dei caratteri più complessi.
Questo secondo sistema è quello dei KANJI 漢字 , e cioè semplicemente dei “caratteri” 字 “cinesi” 漢, che i giapponesi hanno preso in prestito dalla Cina. Si tratta di ideogrammi, il che vuol dire che ad ogni carattere corrisponde un significato. Così il carattere 人 corrisponde al significato “umano”, “uomo”.
Esiste quindi una differenza fondamentale fra il sistema dei KANA e quello dei KANJI: il “fuoco” in giapponese si dice hi. Noi potremmo scriverlo utilizzando un segno hiragana: ひ . Ma questo segno hiragana potrà essere impiegato anche in tutte le parole in cui appaia la sillaba “hi”; analogamente in italiano “e” è la più comune congiunzione, ma la lettera “e” può essere impiegata in una grande quantità di altre parole. Ma se volessimo impiegare un KANJI, in questo caso useremmo 火 , che si pronuncerà comunque “hi”, ma questo carattere non vorrà dire altro che “il fuoco”: 火 .
Ora si arriva al punto cruciale.
Prendiamo 煙che vuol dire “il fumo”. Prima di scrivere la loror lingua con i caratteri cinesi, i giapponesi avevano ovviamente una parola per dire “fumo”. Era kemuri. Quando i giapponesi hanno preso in prestito i caratteri della Cina, hanno trovato questo carattere 煙 , e poiché questo voleva dire “fumo”, lo hanno scelto per scrivere “kemuri”. E ovunque si vedeva quel carattere, si leggeva ormai: kemuri. Sfortunatamente per noi però, i giapponesi hanno deciso di prendere anche la pronuncia. In cinese questo carattere si pronunciava più o meno “en”. E i giapponesi hanno conservato questa pronuncia nel caso di parole composte. Per esempio una parola composta 煙害 che vuol dire “inquinamento da fumo” si pronuncerà engai, il che non ha più niente a che vedere con “kemuri”. Quindi per finire, ogni carattere cinese ha perlomeno due pronunce. Una corrisponde al vero termine giapponese primitivo, e l’altra è un adattamento dell’antica pronuncia cinese. Capita che alcuni caratteri abbiano più di una pronuncia per ogni categoria.
Messaggio modificato da Monana il 09 October 2005 - 06:15 AM