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[NEWS] Torino Film Festival 2009

I titoli asiatici in programma

10 risposte a questa discussione

#10 paolone_fr

    GeGno del Male

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Inviato 17 November 2009 - 04:30 PM

THE MAN WHO LEFT HIS WILL ON FILM
Nagisa Oshima, 1970
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un ragazzo di un cineclub ideologizzato si fa rubare la videocamera da un misterioso tipo che si getta da un palazzo. il mastro viene sequestrato dalla polizia per le indagini. quando viene restituito, i ragazzi del cineclub lo guardano e in due decidono di ripercorrere i luoghi filmati nel testamento del morto per scoprire cosa voleva dire con quel filmato. arriveranno proprio sul tetto del palazzo da dove s'è buttato.
film concettuale su marxismo, giappone del dopoguerra e cinema che è forse il testamento ideale di oshima.

THE SUN's BURIAL
Nagisa Oshima, 1960
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la vita nei bassifondi della tokyo del dopoguerra, tra gang, prostitute, ladri, imbroglioni, rivoluzionari e semplici. un ritratto della morte del sole del giappone.
uno dei film più lineari dell'oshima degli inizi. quasi un classico tra kurosawa e fukasaku.

BOY
Nagisa Oshima, 1969
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il viaggio sulle strade del giappone di una famiglia di truffatori che tira avanti simulando investimenti automobilistici. un ragazzino e la sua formazione all'imbroglio. e la sua refrattarietà all'imbroglio. senza una luce di rapporti sociali se non per essere crudelmente maltrattata poco dopo. il film che accese la luce su oshima in occidente. tra quelli che ho visto, quello che m'è piaciuto di meno.

SING A SONG OF SEX (A Treatise on Japanese Bawdy Songs)
Nagisa Oshima, 1967
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un film di canzoni e musiche per descrivere la lotta di classe e ancora una volta il lutto di un giappone morto e la potenza del sesso, attraverso la storia di quattro studenti che fantasticano di violentare una compagna di università e di un loro professore che muore improvvisamente la notte in cui, sbronzo, insegna le canzoni popolari zozze ai suoi studenti. se ci fosse una definizione sarebbe qualcosa come delirio controllato su pellicola.

DIARY OF A SHINJUKU THIEF
Nagisa Oshima, 1969
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incomunicabilità di ogni tipo: sociali, sessuali, verbali, di classe... e sopra Oshima ci fa una storia d'amore assurdo e assoluto tra un ladruncolo di libri e una ragazza che lo scopre a rubare. se non ci fossero le droghe sintetiche, si potrebbe sempre ripiegare su un film di oshima. su questo, soprattutto. gente in sala ha visto fantasmi e ombre sedute sulle seggiole al fianco degli spettatori. sembra che duri il doppio di quello che è (e non perché annoi) perché è talmente denso e succedono talmente tante cose che ti salta la cognizione del tempo. più che un film, un'esperienza.

CALL IF YOU NEED ME
James Lee, 2009
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inguardabile. senza regia, senza fotografia, con dialoghi approssimativi, una storia così così e tanto già visto e fatto male. ritmo zero. video pessimo. sonoro pessimo. inspiegabile cosa ci facesse in un festival.

#11 François Truffaut

    Wonghiano

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Inviato 03 December 2009 - 01:49 AM

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Kun 1: Action. Delirio di un giovane filmmaker tormentato dal vuoto pneumatico di una Cina senza valori. Il nostro è un fan di J-L Godard in vena di provocazioni con camera digitale. C'è di tutto e di più: nudità, dubbi esistenziali, marachelle alla Borat, citazioni wonghiane, atti vandalici (in una scena in cui le tombe di illustri protagonisti della Rivoluzione Culturale vengono imbrattate con vernice rossa), aforismi oltraggiosi, slogan molesti, banalità quotidiane, e altro ancora, fanno capolino sullo schermo in un gioco anarchico di immagini che si ispirano maldestramente all'iconoclastia della Nouvelle Vague. Ammirevole il coraggio, onanistico il risultato (perché non porta a nulla: gli argomenti sono inconsistenti). Passerà alla storia per essere il primo film cinese non hard che mostra una fellatio ripresa dal vero. Se le autorità cinesi si troveranno tra le mani questo film, credo che non avremo notizie di Wu Haohao per molto, moltissimo tempo.

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Zha lai nuo er (Jalainur). La storia di due operai di una ferrovia, legati da una forte amicizia: uno sta per andare al suo villaggio natio per godersi la pensione, l'altro non vuole rinunciare alla sua compagnia e decide di stargli accanto fino al momento della separazione. Film 'en plein air', fatto di paesaggi mongoli che si estendono all'infinito, emozioni impalpabili e atmosfere alienate: roba che raramente vediamo nel cinema cinese indipendente. L'esordiente Zhao Ye cerca quindi l'immagine poetica attraverso scenari mozzafiato (nel bene e nel male), ma perde di vista la concretezza che si chiede ad ogni racconto che si rispetti: si rivela un po' manieristico, proprio perché tralascia i perché della storia, preferendo invece concentrarsi sulla cifra stilistica. Belle inquadrature, niente più.

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Ghost Town. Film documentario che vorrebbe immortalare quello che la Cina sta annullando con la sua crescita economica: e cioè tradizioni secolari, vestigia antiche, ricorrenze folcloristiche, comunità che sono fuori dal tempo e fuori dalla norma. Lo schermo si riempe quindi della quotidianità di un villaggio remoto tra le montagne e dei suoi abitanti. Animato da buone intenzioni, Zhao Dayong si dilunga troppo (il film dura 170'!) e non è in grado di rendere interessante la materia su cui posa il suo sguardo: il guaio è che si limita a riprodurre il reale così come appare, senza filtri, cosa di cui tutti sarebbero capaci. Ci si annoia, anche se c'è qualche spunto non banale.

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Independencia. Raya Martin firma un'opera di stile che sembra un reperto di archeologia cinematografica sbucato da un'altra epoca (i primi del Novecento). In un teatro di posa, in un rigoroso bianco e nero d'altri tempi, con luci ed ombre che ricordano l'espressionismo tedesco e con un sonoro monofonico, prende vita l'epopea di una famiglia che si rifugia nella foresta per fuggire al caos della lotta di indipendenza filippina contro l'occupazione americana, finché la forza primigenia della Natura non mette fine al suo scollamento dalla realtà tumultuosa. La sensazione è quella di un film concettuale sullo scontro tra l'uomo e le forze che sfuggono al suo controllo (come la Natura e il Tempo e quindi la Storia). Parte bene (grazie ad una messa in scena che spicca per rigore filologico), ma poi si conclude maluccio, con estemporanee soluzioni tecniche (l'uso del colore per evidenziare alcuni dettagli) che contraddicono il disegno linguistico complessivo d'impronta anti-moderna. Peccato, non mantiene del tutto le premesse. Ma Raya Martin si conferma comunque un autore di grande spessore registico.

Il trailer:





Visualizza Messaggiopaolone_fr, il 17 November 2009 - 04:30 PM, ha scritto:


CALL IF YOU NEED ME
James Lee, 2009
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inguardabile. senza regia, senza fotografia, con dialoghi approssimativi, una storia così così e tanto già visto e fatto male. ritmo zero. video pessimo. sonoro pessimo. inspiegabile cosa ci facesse in un festival.


Quoto: di imbarazzante inutilità.

Mi spiace non aver visto certi film della retrospettiva su Oshima. :rotfl:
Sottotitoli per AsianWorld: The Most Distant Course (di Lin Jing-jie, 2007) - The Time to Live and the Time to Die (di Hou Hsiao-hsien, 1985) - The Valiant Ones (di King Hu, 1975) - The Mourning Forest (di Naomi Kawase, 2007) - Loving You (di Johnnie To, 1995) - Tokyo Sonata (di Kiyoshi Kurosawa, 2008) - Nanayo (di Naomi Kawase, 2008)





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