Abbastanza spoileroso, io v'ho avvertito.
A quattro anni di distanza da I Wish I Had a Wife, Park Heung-shik racconta uno scontro generazionale fatto di incomprensioni e solitudine, ritraendo l'ingenuità dell'abbandono alle emozioni (ritrovate).[…] Riflessione sul mutamento, sul potere delle circostanze, My Mother, Mermaid mette in scena l'inesorabile fluire del tempo e il suo potere di riplasmare i caratteri, di ridisegnare le prospettive, contrapponendo due segmenti cristallizzati (la speranza del passato rispetto alla disillusione del presente) con un scambio simbolico (l'incontro madre-figlia). Il peccato non trascurabile è che nel farlo sceglie la strada meno interessante, mettendo a rischio la tenuta finale. Non si tratta di problemi di messa in scena, che anzi contribuisce a sottolineare le sfumature. Jeon Do-yeon è una delle attrici più versatili del cinema coreano, in grado di passare con trasporto dall'ingenuità di una ragazzina di campagna (The Harmonium in my Memory) alla passione di un'adultera introversa (Happy End), senza disdegnare ruoli da noir d'azione (No Blood, No Tears): per questo la scelta di affidarle un doppio ruolo appare qui non solo convincente, ma necessaria. Il suo ritratto di una rancorosa ragazza della Seoul contemporanea e di sua madre quand'era giovane, isolana analfabeta ma piena di vitalità, illumina di contrasti i personaggi, creando un'atmosfera crepitante, che ha modo di far esplodere il disincanto del passaggio generazionale, in cui tutto si ripete eguale, eppure sempre diverso. Na-young ha modo di specchiarsi nel passato, confrontandolo non tanto con il presente dei suoi genitori, ma con il suo presente. Anche Park Hae-il , già visto in Jealousy is my Middle Name , impressiona positivamente, con quel sorriso enigmatico ad illuminargli il volto: anche la ricostruzione dell'isola e lo scarto rispetto alla metropoli riesce a incuriosire. È piuttosto nella sceneggiatura che Park Heung-shik pecca di fatua ingenuità: tra tutti gli espedienti pensabili per mettere in scena questa collisione di universi, l'incontro fisico e atemporale tra figlia e madre appare il più banale e banalizzante - con l'aggravante che la scelta non è perseguita con convinzione.[…] La trovata si trasforma subito in comoda scappatoia per far rivivere a Na-young ciò che erano i genitori, e ora non sono più. Il suo apporto alla storia è però assolutamente nullo, inessenziale: limitandosi a stare ai margini, non vista, diventa orpello esornativo fine a se stesso, infrangendo la sospensione dell'incredulità e l'intera impalcatura che avrebbe permesso in altre condizioni di abbozzare una riflessione non scontata sul fluire del tempo.[…]
Stefano Locati (www.asiaexpress.it)
Commento che condivido in pieno. Un film tra commedia e dramma che si lascia guardare con piacere nonostante una sceneggiatura poco convincente. Commuove (anche se nel farlo scade in patetismi abbastanza banalotti) trasmettendo una malinconia positiva e ha un bel finale. Oltre a Jeon Do-yeon e Park Hae-il evidenzierei anche la buona prova di Ko Du-shim. E come diceva Ozu... una madre deve essere amata

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E
URAAAAAAAI!
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