[CULTURE] L'angelo in decomposizione
Shimamura 25 Nov 2010
L'angelo in decomposizione
Tributo a Mishima Yukio
a cura di Shimamura81
"Ho dedicato [a Mishima] la traduzione in inglese del Chushingura1 che uscirà tra breve. Quando gli chiesi quale preferisse tra le epigrafi che avevo preparato, scelse la seguente: «Leale è valoroso come un samurai, ha dedicato la vita alla patria. Ma le stelle non si vedono durante il giorno, esplodono di luce nel cielo notturno»."
Donald Keene
Articolo pubblicato su "Asahi Shinbun"2 il 26 novembre 1970
"La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre."
Mishima Yukio
Biglietto scritto il 25 novembre 1970
CAPITOLO I
L'infanzia e l'adolescenza (1925-1940): Hiraoka Kimitake (平岡 公威).
Hiraoka Kimitake nasce il 14 gennaio del 1925 a Tokyo, nel quartiere di Yotsuya (odierno Shinjuku). Il padre, Azusa, è un alto funzionario del Ministero dell'Agricoltura, figlio unico di un uomo politico che fu Prefetto del Dipartimento di Fukushima e Governatore delle isole Sakhalin. La madre, Shizue, è la secondogenita di un professore di lettere, preside di una scuola media di Tokyo, discendente da una famiglia di sinologi. Dopo il matrimonio Shìzue è costretta a vivere in un ambiente cupo e austero, dominato dalla suocera Natsuko, nipote di Nagai Naomune, discendente da un'antica stirpe di guerrieri, che fu Ministro degli Esteri e della Marina del governo feudale dei Tokugawa (徳川). Il ruolo di Natsuko nella vita del piccolo Kimitake sarà importantissimo. La donna non solo lo strappa dalla casa paterna, ma ottiene che, ancora in fasce, dorma nel suo letto di ammalata e che veda la madre solo ogni quattro ore, per essere allattato. Il 23 febbraio del 1928 nasce la sorella Mitsuko. Il piccolo Kimitake, invece, continua a vivere in isolamento, relegato nella stanza della nonna, lontano dalla natura e dai suoi coetanei. Inutile dire quanto questo abbia influito sulla sua costituzione fisica, gia debole di per sé, e sul suo carattere. Il 19 gennaio del 1930 nasce il fratello Chiyuki.
A sei anni, nel 1931, Hiraoka Kimitake entra nella più prestigiosa scuola del Giappone: il Gakushuin (学習院). Fondata nel 1877, è la scuola dell'elìte nipponica, non solo perché da essa, che include un ciclo scolastico completo che va dalla scuole elementari al liceo, fuoriescono quelli che poi saranno i "burocrati" del futuro, politici e non, ma anche perché da sempre luogo d'incontro della ricca borghesia e nobiltà del Paese. Per Kimitake saranno anni difficili. La sua appartenenza ad un'aristocrazia ormai in declino, la sua debolezza fisica, che gli impedisce di rispettare le severe norme dell'istituto, la balbuzie, lo portano ad isolarsi e a dedicare tutto sé stesso allo studio. È in questi anni che la madre lo incoraggia a darsi alla letteratura, così inizia a scrivere e alcune delle sue composizioni sono pubblicate sulla rivista scolastica "Kozakura" (小桜, "Piccolo ciliegio").
L'ingresso alle medie del Gakushuin avviene nel 1937. Finalmente Kimitake è tornato a vivere a casa dei genitori, ma continua a frequentare la nonna, che lo accompagna spesso a teatro per assistere a rappresentazioni di Kabuki (歌舞伎) e di Noh (能). Natsuko, morirà poi il 18 gennaio del 1939, all'età di sessantaquattro anni. Nello stesso periodo pubblica alcuni scritti sulla rivista dell'istituto "Hojinkai" (Società della soccorrevole benevolenza). Dal 1940 dedica tutto il suo tempo libero alla letteratura e alla composizione, scatenando le ire del padre, che la ritiene un'occupazione frivola e disdicevole per un futuro burocrate quale dovrà essere Kimitaka, ma quest'ultimo non si sente intimidito dalla sua reazione, anzi, si sente ancor di più spronato a continuare. Da febbraio a marzo appaiono sulla rivista Kuchinashi (クチナシ, "Gardenia") alcune sue composizioni poetiche. Hiraoka Kimitake ha da poco compiuto i quindici anni.
CAPITOLO II
La nascita di uno scrittore (1941-1954): Mishima Yukio (三島 由紀夫).
Nel settembre del 1941, l'importante rivista Bungei bunka (文芸文化, Cultura letteraria), una delle più prestigiose del Giappone, pubblica la novella Hanazakari no mori (花ざかりの森, La foresta in fiore), un racconto in cui discorre del rapporto personale con i propri antenati. In tale occasione, per la prima volta, si firma con lo pseudonimo Mishima Yukio3.
Nel 1942 frequenta la prima classe del liceo del Gakushuin e con alcuni compagni di scuola fonda la rivista Akae (赤絵, Il dipinto rosso), ma nell'ottobre dello stesso anno muore, a ventitré anni, uno dei suoi amici più cari, anch'egli collaboratore della rivista Akae, che così termina la sua breve esistenza dopo due soli numeri. È nel 1944 che viene convocato per la visita di leva, e viene giudicato idoneo al servizio militare. Nello stesso anno ottiene, a settembre, con il massimo del voti, la licenza liceale. Riceve in premio dall'Imperatore un orologio d'argento e dall'ambasciatore tedesco tre libri di letteratura germanica. In ottobre esce presso la casa editrice Shichijoshoin la sua prima raccolta di novelle, intitolata Hanazaki no mori4 che già nella prima settimana vende circa quattromila copie. È poi ammesso al corso di Diritto Germanico alla facoltà di legge dell'Università Imperiale di Tokyo (東京大学, Tōkyō daigaku)5.
L'esercito lo assegna momentaneamente ad una fabbrica di aerei del dipartimento di Gunma, ma l'anno dopo viene sottoposto a una visita di arruolamento e giudicato erroneamente non idoneo. L'accaduto colpirà così tanto Mishima da indurlo a pensare al suicidio e a scrivere testamento. Dirà in seguito che pur non avendo poi scelto di morire, in realtà la sua sopravvivenza era stata solo "apparente".
Nel luglio del 1945 scrive il bellissimo racconto Misaki nite no monogatari (岬にての物語, Storia di un promontorio)6, un racconto ispiratogli da una vacanza con la madre. Vi si racconta con struggente poesia dell'incontro tra un bambino, scappato, che si allontana dal suo sorvegliante e si avventura lungo un promontorio dove incontra una coppia decisa a farla finita. Mishima affronta narrativamente il tema del suicidio per la prima volta, ma da una prospettiva diversa rispetto a quella che sarà poi presente nelle sue opere future. Lo scrittore il tal caso si riferisce al shinju (心中), cioè al doppio suicidio d'amore, tipico del teatro giapponese, che lui stesso aveva imparato a conoscere grazie alla nonna. Nello stesso anno, dopo la resa del Giappone, muore di febbre tifoidea Mitsuko, la sorella diciassettenne.
Nel 1946 fa visita allo scrittore Kawabata Yasunari (川端 康成)7, che poi diverrà suo amico e mentore. A lui Mishima ragala due novelle, una delle quali Tabako (煙草, Tabacco), che racconta in maniera autobiografica delle violenze subite a scuola a causa del suo debole fisico, verrà poi pubblicata sulla rivista Ningen (人間, Umano), proprio grazie all'intercessione del futuro premio Nobel. Nello stesso anno pubblica il suo primo romanzo: Tōzoku (盗賊, Ladro), dove ritorna il tema del suicidio di coppia.
Nel 1947 si laurea in Legge all'Università Imperiale di Tokyo e supera con successo il concorso per funzionari dello Stato di alto grado, ottenendo un incarico nel Ministero delle Finanze, che lascerà nel settembre dell'anno successivo, per dedicarsi in toto alla letteratura. Il 1949 sarà infatti un anno fodamentale per Mishima. Non solo pubblica molti dei suoi racconti più belli, ma nel maggio dello stesso anno pubblica il romanzo semi-autobiografico Kamen no kokuhaku (仮面の告白, Confessioni di una maschera)8.
Kamen no kokuhaku.
"La forma oggettiva è in realtà la più soggettiva. L'uomo non è mai meno sé stesso di quando parla in prima persona. Dategli una maschera e vi dirà la verità".
Oscar Wilde
Intenzioni
Confessioni di una maschera ebbe l'effetto di un terremoto sulla cultura nipponica. Diviso in quattro capitoli, tenne banco sulle riviste letterarie per oltre un anno. Il primo capitolo racconta di Konchan, l'io narratore, e della sua infanzia e adolescenza. Il secondo capitolo è quello in cui Konchan entra alle medie e prende coscienza della propria omosessualità, attraverso fantasie sessuali che coinvolgono corpi maschili, violenza, morte e tortura. Nel terzo capitolo il nostro narratore è un giovane in cerca di identità, che cerca a tutti i costi di dimostrare la propria "normalità" fingendo interesse per le donne come tutti i suoi amici. È qui che incontra la sorella di un amico, Sonoko, che lui corteggerà, solo per poi rifiutarla quando lei gli dichiarerà il proprio amore. Nell'ultimo capitolo di Confessioni di una maschera, Kochan è negli ultimi anni dell'università. La seconda guerra mondiale sta volgendo al termine. Al ritorno dalla guerra Kochan scopre che sua sorella è morta e che Sonoko ha deciso di sposarsi. Passano gli anni e sia lui che Sonoko ora lavorano in un ministero. Si incontrano spesso e prendono quacosa da bere ogni pomeriggio. Un giorno lei, confessandogli di sentirsi in colpa per questi incontri furtivi chiede a Konchan perché anni fa abbia rifiutato di sposarla, e lui le risponde che era solo perché non si sentiva pronto. Ma in quel momento due uomini, probabilmente yakuza (やくざ), stanno litigando a pochi passi da loro. Hanno le vesti slacciate, i corpi sudati ed un coltello in mano. Konchan gia sente l'odore del sangue e la sua mente vola con la fantasia. Sonoko lo guarda, e capisce finalmente di aver ricevuto una risposta...
Confessioni di una maschera è ben più di un romanzo semi-autobiografico. Basato sulla forma del "romanzo confessione" europeo, con un titolo che trae ispirazione da una frase delle "Intenzioni" di Wilde, il romanzo è strettamente connesso alla vita dello scrittore giapponese, al punto che è difficile individuare laddove sia fiction e dove realtà. Basterebbe pensare all'episodio della visita di leva, o alla morte della sorella. Ma in realtà il romanzo si presenta come un unicum nel suo genere. Al contrario della maggior parte dei romanzi autobiografici, dove il protagonista parte fuori dagli schemi per poi trovare il proprio posto nel mondo, qui Konchan nasce outsider e termina ancora più outsider di prima! È un giovane introverso incapace di provare sentimenti al di fuori di quelle che sono le proprie fantasie sadomasochistiche/omoerotiche, e resterà così, anche di fronte ai sentimenti sinceri di Sonoko. Konchan allora indossa una "maschera" quella della normalità. Per tutto il romanzo si sforzerà di apparire come il classico giovane ben educato e con una eccellente istruzione. Frequenterà anche bordelli pur di dimostrare la sua virilità al mondo, tenterà di farsi amare dalle donne, ma quando ci riuscirà, con Sonoko, per loro non sarà capace di provare nient'altro che invidia, perché esse sono capaci di amare, mentre lui no. E allora finalmente capisce. È semplice, in fondo. Lui non è capace di provare amore, per nessuno.
Bisogna peraltro sfatare un mito. Mishima non aveva di certo intenzione di fare outing scrivendo questo romanzo. Non ha scritto Confessioni di una maschera per dichiarare la sua omosessualità al mondo, ciò perché Mishima aveva con le donne e con il sesso un rapporto molto particolare, ambiguo, ma non di indifferenza. Mishima è un uomo virile come pochi, probabilmente non attratto dal matrimonio, affascinato più dall'uomo che dalla donna, ma comunque resta difficile parlare di Mishima come omosessuale. In realtà lo scrittore si muoveva tra le sue pulsioni con molta discrezione, e praticava il sesso e la sessualità sia con uomini che con donne, sicuro, però, di poter provare maggiori soddisfazioni con quelli del proprio sesso. Mishima non voleva confessare la propria sessualità, che sicuramente è, e resterà, difficile da analizzare, ma semplicemente cercava di capire come sarebbe diventato lui stesso una volta adulto e se poteva o meno convivere con la propria personalità, quella di una persona, in fondo, incapace di amare.
Nel 1950 scrive il racconto Junpaku no yoru (純白の夜, La candida notte) ed un saggio su Oscar Wilde. Nel mese di giugno pubblica il romanzo Ai no kawaki (愛の渇き, Sete d'amore)9, storia di una vedova e dei suoi complessi rapporti sentimentali, narrati da Mishima con l'uso non solo della prima persona, ma anche del "flusso di coscienza" di joyciana memoria.
L'anno successivo inizia la stesura di Kinjiki (禁色, Colori Proibiti)10, romanzo bellissimo, dove il tema dell'omosessualità, misto alla distruzione, al culto del sé e della vendetta, ritorna fortissimo. È in questo periodo che Mishima trova l'occasione di dare sfogo ad un'altra delle sue passioni, la recitazione.
Viene infatti tratto un film da Junpaku no yoru, diretto da Oba Hideo (大庭 英雄), e Mishima vi partecipa anche come attore. L'anno successivo scrive un dramma per il teatro Noh, Sotoba Komachi (卒塔婆小町, Komachi e la stupa), ispirato ad una leggenda avente protagonista la poetessa Ono no Komachi (小野 小町)11.
Nel 1954 pubblica un altro dei suoi capolavori, Shiosai (潮騒, La voce delle onde)12, dove si racconta la storia d'amore di due giovani di diversa estrazione sociale su un'isola, che sembra quasi costituire un universo a parte dal resto del mondo. Sempre nel 1954 dà alle stampe un altro dramma Noh, Aoi no ue (葵の上, La nobile Aoi), ispirato al Genji monogatari (源氏物語)13, di Shikubu Murasaki (紫式部). Viene nel frattempo tratto un film da Shiosai ed un suo dramma Kabuki, Iwashi uri koi hikiami (鰯賣戀曳網, La rete d'amore del venditore di sardine), viene messo in scena a teatro da una delle compagnie più prestigiose dell'epoca, quella di Nakamura Kichiemon (中村吉右衛門). In dicembre gli viene conferito il primo premio istituito dalla casa editrice Shinchosha (新潮社).
CAPITOLO III
Una vita come opera d'arte (1955-1964): Utsukushisa (美しさ)14.
Dal 1955 incomincia a frequentare una palestra, due volte alla settimana, in cui s'insegna il body building. Mishima è stanco della sua debolezza fisica e desidera un corpo nuovo. Inizia qui il lungo percorso che porterà l'artista alla pratica delle arti marziali, di numerose attività sportive ed alla costruzione di un corpo perfetto.
Nel 1956 scrive alcuni saggi, tra cui uno su Kawabata ed un altro su Ogai Mori (森 鷗外)15, autore che molta influenza ha avuto su di lui. Nello stesso anno Shiosai viene tradotto in inglese. Si tratta della prima opra di Mishima ad arrivare in occidente, e sarà l'inizio di una serie di traduzioni in tutte le lingue che porteranno Mishima Yukio a diventare il romanziere giapponese più letto nel mondo. È in quest'anno che incomincia la pubblicazione a puntate di un altro dei suoi capolavori: Kinkakuji (金閣寺, Il Padiglione d'oro)16.
Kinkakuji.
"Vorrei che tu capissi. È la conoscenza ciò che trasforma questo mondo. Null'altro può farlo. Solo la conoscenza può riuscirci, pur lasciandolo com'è. Mi segui? Se lo sai intendere, il mondo ti appare immutabile e allo stesso tempo in eterna trasformazione. Potresti chiedermi quale mai ne sia l'utilità, e ti rispondo subito che gli uomini hanno avuto l'arma della conoscenza per poter sopportare la vita. Per gli animali non è necessario: essi non sanno di dover sopportare la vita, non sanno niente. Con la conoscenza l'intollerabilità stessa della vita diventa un'arma, senza esserne peraltro minimamente alleviata. Questo è tutto."
Mishima Yukio
Il Padiglione d'oro
Il Padiglione d'oro racconta la storia di un giovane di nome Mizoguchi, affetto da un grave problema di balbuzie, è ossessionato dalla bellezza di un luogo di cui gli raccontava il padre, il Rokuonji (鹿苑寺), a Kyoto. Si tratta di un complesso templare il cui edificio più importante è un tempio a pagoda, nato come villa nel 1397 e più volte distrutto e ricostruito (l'edificio attuale è del 1955)17. La sua caratteristica principale è data dal fatto di essere interamente ricoperto di foglie d'oro, pertano viene da tutti chiamato Kinkakuji (Padiglione d'oro, appunto). Il romanzo diventa così una parabola filosofica sulla bellezza, ma anche un'analisi psicologica della mente del protagonista, delle sue ossessioni e dei suoi turbamenti, che ci vengono esposti nella mirabile prosa dello scrittore, qui ai suoi vertici. Il romanzo è infatti raccontato, come ormai abitudine nel corpus di opere mishimiano, in prima persona. Le numerosi disgressioni filosofiche che lo caratterizzano non ne rendono più ardua la lettura, anzi, arricchiscono l'opera come non mai, e rendono il personaggio principale, nelle sue contraddizioni, molto credibile.
La vita del giovane Mizoguchi, novizio al Rokuonji, cambia con l'incontro col figlio di un monaco Zen, Kashiwagi, nato con una deformazione ai piedi. Come Mizoguchi con la sua balbuzie, anche Kashiwagi è un essere imperfetto, una imperfezione che rende entrambi "corrotti" agli occhi della bellezza. Eppure, nonostante sia anch'egli "corrotto", Kashiwagi riesce ad insegnare a Mizoguchi che non solo esseri come loro possono creare bellezza (Kashiwagi suona il flauto in modo meraviglioso), ma possono anche trarne vantaggio, suscitando sensi di colpa e compassione negli altri, sopratutto nelle fanciulle. Ma in realtà Kashiwagi ha un rapporto complesso con la bellezza perché, come afferma lui stesso, non è capace di provare attrazione per una bellezza che non sia effimera, passeggera, ed odia ciò che è dotato di una bellezza "durevole". È l'opposto di Mizoguchi, che idealizza a tal punto il Kinkakuji, opera dotata di una bellezza "eterna" appunto, da raffrontare tutto con esso, anche il seno di una donna... Allora Mizoguchi ha una intuizione e capisce. Capisce che deve dar fuoco al Kinkakuji. Il perché è semplice. Deve distruggere la bellezza, deve dare una lezione importante al mondo. Elevato a monumento nazionale nel 1897, il Kinkakuji sembrerebbe destinato a durare in eterno. Lui dimostrerà il contrario. Niente è eterno, ed inoltre, così facendo, la bellezza del mondo perderà uno dei suoi maggiori rappresentanti e così magari ce ne sarà di meno e quelli come lui, i "corrotti", non dovranno più temerla.
Mishima crea un'opera immensa, dove la bellezza è uno strumento di mediazione nel rapporto tra uomo e arte, crea una parabola sul potere dell'uomo e sulla sua capacità di sdradicare l'esistenza stessa tramite il proprio potere distruttivo. Eppure alla fine Mizoguchi sceglie la vita. Un uomo dotato di un potere incredibile, quello di distruggere un'opera eterna, che vuole perire con essa, non riesce a scegliere di morire. Forse perché è davvero "corrotto"... Mishima diceva che il suicidio deve essere compiuto solo su un corpo bello, e lui, che si dedicava al body building, lo sapeva bene. Ma alla fine poco importa quale sia il "reale" potere distruttivo dell'uomo. Leggendo Il Padiglione d'oro ciò che resta è solo un'impressione, quella di trovarci innanzi ad un'opera memorabile, un'opera la cui bellezza è destinata a durare per sempre, e non perdersi mai tra la cenere, dopo le fiamme.
Nel 1957 il romanzo Kinkakuji vince il premio del Yomiuri Shinbun (読売新聞)18. In aprile esce la prìma puntata del romanzo Bitoku no yoromeki (美徳のよろめき, Una virtù vacillante)19, un successo di critica e di pubblico notevole, un'analisi cruda e realistica di una donna di innata sensualità. Viene poi invitato in America dalla casa editrice Knopf , che pubblica le sue opere negli Stati Uniti, e tiene un discorso all'Università del Michigan sull'attuale situazione del mondo letterario giapponese. Il viaggio si prolungherà sino al gennaio dell'anno seguente; visiterà Messico, Repubblica Dominicana, Haiti, Avana, America Meridionale, Spagna, Italia e Grecia. In ottobre viene tratto un film dal romanzo Bitoku no yoromeki.
Nel 1958 incomincia a prendere lezioni di boxe e si esercita nel kendo (剣道) e nel giugno dello stesso anno sposa Sugiyama Yoko (すぎやま 陽子), figlia di un noto pittore. A fare da mediatore nel matrimonio è Kawabata, amico intimo del padre della sposa. Nel frattempo il successo del romanzo Kinkakuji continua, al punto che il grande regista Ichikawa Kon (市川 崑) ne trae un film, Enjo (炎上, Conflagrazione), ancor oggi reputato il miglior adattamento cinematografico tratto da un'opera di Mishima. Inizialmente Ichikawa rimase a lungo in dubbio se fosse possibile trasporre in film i concetti filosofici trattati nel romanzo e rifiutò la regia; ma accettò quando la sceneggiatura venne affidata alla moglie Wada Natto (和田 夏十) e all'amico Hasebe Keiji (長谷部 賢二) cosa che gli avrebbe permesso di intervenire direttamente sul copione. "In questo film volevo mostrare la povertà in Giappone, una povertà materiale che causa una povertà spirituale. Il protagonista in questo senso rappresenta la gioventù giapponese nel primo dopoguerra, che deve scontrarsi contro il muro della realtà e della disillusione nella ricerca a cui aspira: la ricerca della verità nella propria vita", dirà in seguito il regista. Poco dopo l'inizio però, le autorità religiose chiesero di sospendere le riprese per timore che il film potesse spingere qualche folle a ripetere il gesto, e la Daiei (Daiei kabushiki-gaisha, 大映株式会社) cancellò la produzione, giudicando in fondo il tema troppo difficile per il pubblico. Dopo quasi un anno di insistenze del regista, la produzione acconsentì a riprendere il film, ma cambiandone titolo (fu scelto Enjo, traducibile come Conflagrazione) e nome del tempio. Girato in bianco e nero con l'aiuto di Miyagawa Kazuo (宮川 一夫), già direttore della fotografia di Rashomon (羅生門) e di Ugetsu monogatari (雨月物語), e che poi seguirà Ichikawa di nuovo nel documentario capolavoro Tokyo Orinpikku (東京オリンピック), il regista ottenne straordinari risultati formali nella composizione architettonica delle inquadrature come nel donare effetti di bassorilievo a tessuti e superfici.
In seguito Mishima fonda con altri scrittori la rivista trimestrale Koe (声, Voce), su cui pubblica una delle sue opere più discusse, Kyoko no ie (鏡子の家 , La casa di Kyoko)20. Il romanzo racconta le storie legate tra loro di quattro giovani, a loro volta incarnazione di quattro sfaccettature della personalità della stesso Mishima: un pugile (l'atleta), un pittore (l'artista), un attore che dedica sé stesso alla costruzione di un corpo bellissimo grazie alla pratica del body building (la componente narcisistica), ed uno spietato uomo d'affari (La componente nichilista). Il romanzo, che più di altri esprime la filosofia dello scrittore e che per certi aspetti sembra quasi anticiparne il destino (il pugile diventerà un estremista di destra, mentre l'attore compirà shinju con la propria amante), impegnò Mishima molto più di quanto avevano fatto, e faranno in seguito, i suoi altri lavori, ma fu un insuccesso di critica e pubblico, rivelando quello che è in realtà sempre stato il difetto dell'opera mishimiana, ben evidenziato spesso anche da Kato Shuichi (加藤 周一)21 e cioè quella ricerca estetica, anche nella scrittura, oltre che nella narrazione, che talvolta possono risultare eccessive, quanto oltremodo fastidiose.
Smette di praticare la boxe, e torna al body building.
Il 2 giugno del 1959 nasce la sua primogenita, Noriko, e nel 1960 pubblica un altro dei suoi grandi romanzi, Utage no ato (宴のあと, Dopo il banchetto), dove costruisce una delle più memorabili figure femminili della storia della letteratura nipponica, Kazu, donna di mezza età e proprietaria di un esclusivo ristorante dove si danno appuntamento gli uomini più potenti della nazione. Nel frattempo ha sottoscritto un contatto in esclusiva con la casa di produzione cinematografica Daiei, e partecipa come attore al film Karakkaze yaro (からっ風野郎, Quel tipo del vento secco. Titolo internazionale: Afraid to Die)22, di Masumura Yasuzo (増村 保造). Il film si avvale, peraltro, di un brano musicale, usato come tema portante, di cui Mishima aveva composto parole e musica. Parte con la moglie per un viaggio intorno al mondo che durerà tre mesi: visiteranno l'America, il Portogallo, la Spagna, la Francia, la Germania, l'Inghilterra, la Grecia, l'Italia e i Paesi Arabi.
Nel gennaio del 1961 scrive la novella Yukoku (憂国, Patriottismo) e assiste alle prove di una rappresentazione dei suoi Noh in un teatro di New York. In marzo viene citato in tribunale dall'ex Ministro degli Esteri Arita Hachiro (有田 八郎) che, essendosi riconosciuto in un personaggio del romanzo Utage no ato, accusa lo scrittore di diffamazione. Nel settembre del 1964, un tribunale nipponico lo riconoscerà colpevole. In dicembre pubblica la novella Kurotokage (黒蜥蝪, Lucertola nera).
Il 2 maggio del 1962 nasce il secondogenito Takeichiro. Nello stesso anno Mishima Yukio è protagonista di un libro fotografico di Hosoe Eikoh (細江英公), Barakei (薔薇刑, il supplizio delle rose). Alcune delle immagini ivi contenute, di una bellezza impossibile da spiegare a parole, diventeranno famosissime, capaci più di altre di evidenziare la personalità e l'estetica dello scrittore. In settembre la casa editrice Kodansha (Kabushiki-gaisha Kodansha, 株式会社講談社) pubblica il romanzo Gogo no eiko (午後の曳航, tradotto in italiano con il titolo Il Sapore della gloria)23, e in ottobre viene stampata la novella Ken (剣, La spada)24, che nel marzo del 1964 diventa un film, seguita il mese dopo dalla versione cinematografica di Shiosai. In novembre il suo romanzo Kinu to meisatsu (絹と明察, Seta e chiaroveggenza) vince il premio del Mainichi Shinbun (毎日新聞)25.
CAPITOLO IV
Epilogo (1965-1970): Hojo no umi (豐饒の海).
Nel 1965 Mishima mette mano ad un progetto che cullava già dal 1962. Si tratta di una tetralogia, incentrata sul concetto buddista del samsara, cioè della rinascita.
La tetralogia si intitolerà Hojo no umi: Il mare della fertilità.
Hojo no umi.
" Il mare della fertilità, che riprende il nome dell'arido mare lunare, offre l'immagine di una distesa desolata, il senso di un vuoto cosmico. Potrebbe anche far pensare a qualcosa come il mare del tempo".
Mishima Yukio
da una lettera a Donald Keene
La tetralogia de Il mare della fertilità rappresenta la summa dell'opera di Mishima. In teoria doveva essere il suo capolavoro, ma infine risulta troppo discontinua per poter assurgere a tale. Il primo romanzo che compone la tetralogia è Haru no yuki (春の雪, Neve di primavera)26. La storia racconta del giovane Matsugae Kiyoaki, dalla rara sensibilità, amico intimo di Shigekuni Honda, al contrario di lui persona molto concreta e realistica. Siamo nel 1912, l'ultimo dell'era Meiji e il primo dell'era Taisho. Un giorno Kiyoaki si innamora di Satoko, con il quale intreccia una relazione un po' altalenante, al punto che Satoko, un giorno stanca dell'atteggiamento di Kiyoaki, acceta di andare in sposa ad un principe imperiale. Sarà l'inizio di un dramma che il povero Honda, cui spetterà il ruolo di mero testimone, non potrà far niente per evitare. Kiyoaki farà sua Satoko, che rimasta incinta non potrà far altro che espiare rinchiudendosi in un monastero di clausura, mentre Kiyoaki, affetto da una grave polmonite, si lascerà morire, non prima di aver dato appuntamento a Honda per il futuro: "Ci rincontreremo, sotto una cascata."
Romanzo struggente, vertice della poetica di Mishima, racconto sulla giovinezza e sulle paure che attanagliano chi cerca di uscire dall'anonimato, metafora della crescita e dei cambiamenti che hanno interessato il Paese, Neve di primavera è un'opera straordinaria, il cui succeso fu incredibile in Giappone.
A Neve di primavera segue Honba (奔馬, A briglia sciolta)27. Siamo nel 1932, e ritroviamo Honda, oramai giudice del Tribunale penale. Ha compiuto trentotto anni, da dieci anni è sposato con la mite Rie, da cui non ha avuto figli, e conduce una vita tranquilla e abitudinaria. Un giorno però gli capita di presenziare a un torneo di kendo e fa la conoscenza di Iinuma Isao. Isao è il figlio di linuma Shigeyuki, il vecchio precettore di Kiyoaki e ora presidente di un'associazione patriottica della destra. Suo figlio, a soli diciannove anni, è un campione di kendo, un atleta che sprigiona energia e coraggio virili ma anche un ragazzo ancora puro e ingenuo. Honda lo vede, vicino ad una cascata. Sul suo corpo tre nei, identici a quelli cha aveva anche Kiyoaki. Honda allora si convince di aver ritrovato l'amico scomparso e che Isao ne sia la reincarnazione. Ma Isao è ben altro. Cova rancore verso qualsiasi forma di ordine precostituito ed entra a far parte di una associazione di estrema destra che progetta un grosso attentato contro i simboli del potere politico. L'attentato però miseramente fallisce e a nulla vale l'intercessione di Honda che cerca di aiutarlo, Isao è arrestato e la sua sorte già segnata. Tra coloro che lo hanno tradito c'è il suo stesso padre. Ma Isao dopo un po' ritorna libero ed allora decide di continuare nella sua azione, uccidendo uno dei capitalisti che doveva restare vittima del piano originale. Poi fugge, e braccato dai segugi delle forze dell'ordine non ha altra scelta se non quella di darsi la morte col seppuku.
Se Neve di primavera rappresenta il lato più delicato e passivo di Mishima, A briglia sciolta ne mostra il lato devoto all'azione. La storia prende spunto in parte dai fatti del 26 febbraio 193628, in parte delle ideologie stesse dell'autore e dalla sua fede nel bushido. Isao anticipa il destino finale dello scrittore, e ne incarna il pensiero. Politicamente anche Mishima, non è un mistero, era schierato a destra. Va però fatta una precisazione. È vero che Mishima è un uomo di destra, ma parliamo della destra giapponese, non di quella europea. Destra e sinistra sono, politicamente parlando, due concetti che cambiano da paese a paese. La destra europea contemporanea a Mishima era la destra del nazional-socialismo e del fascimo, ma Mishima non era vicino a nessuno dei due, in primo luogo perché contrario al capitalismo, colpevole di aver corrotto l'anima dei giapponesi, quindi contrario al liberalismo selvaggio, che è ancora oggi il segno distintivo della destra, anche italiana. In secondo luogo perché contrario a discriminazioni di razza e/o a presunte superiorità di una di esse sull'altra, ed in terzo luogo, perché di sicuro Mishima non era omofobo!L'omofobia, cioè quella discriminazione che le culture di destra, ma ahimé, non solo purtroppo, attuano nei confronti degli omosessuali, era per i giapponesi non solo incomprensibile, ma fuori luogo, dato che tra i samurai la bisessualità era la norma! E Mishima non faceva eccezione a questa regola. Ecco perché fa ridere vedere spesso associazioni di destra, anche da noi, elogiare Mishima come proprio rappresentante culturale. Oltre che errore è anche segno di grossa ignoranza e superficialità. Mishima era di destra perché conservatore e ultra nazionalista. E basta. Ma queste caratteristiche appartengono solo alla destra giapponese, mentre quella europea ne ha molte altre di sfaccettature! Ad ogni modo A briglia sciolta rappesenta il vertice narrativo della tetralogia. Il volume dove la prosa dello scrittore nipponico tocca vertici inimmaginabili e dove la tensione e la poesia insite nella sua scrittura raggiungono l'equilibrio perfetto.
Nel terzo volume delle tetralogia, al contrario, il cambio di registro è netto.Akatsuki no tera (曉の寺, Il tempio dell'alba)29 è il primo volume dell'opera che definisce finalmente il ruolo del suo protagonista, che finora era per lo più rimasto confinato al ruolo di spettatore: Honda. Siamo nel 1940, gli anni della guerra, e Honda viaggia per lavoro, fino ad arrivare in Thailandia. Qui incontra una bimba di sette anni, una principessa thailandese, che afferma di essere la reincarnazione di Kiyoaki e che gli chiede di portarla con lui in Giappone. Honda cerca di accontentarla e si prodiga affinché Ying Chan, questo il nome della principessina, venga a studiare in Giappone, e le fa da padre, da mentore, la vede crescere e poi se ne invaghisce. Improvvisamente Mishima trasforma il suo compassato protagonista in un voyeur, pure un po' feticista, che brama deflorare la sua protetta, ormai una donna (siamo già nel 1952, e la guerra è finita), che la spia nell'intimità, che gioca con lei, che complotta per averla. È la prima volta nella sua vita che si trova ad essere schiavo delle passioni, che prova amore. La cosa lo sconvolge, ma alla fine a nulla servirà ognuma delle sue azioni. Ying Chan muore a vent'anni, come Kiyoaki e Isao, per colpa del morso di un serpente.
Questa volta protagonista del racconto è la disillusione di un uomo giunto alla mezza età, che deve fare i conti col decadimento del proprio corpo e con le proprie pulsioni, che invece non tendono a scemare. Il tempio dell'alba rappresenta pertanto un cambio di rotta molto interessante nello svolgimento della tetralogia, e rispetto ai precedenti due capitoli ha un tono più esoterico. È di sicuro un lavoro molto più complesso, di difficele lettura, imperniato su concetti buddisti che al lettore occidentale potrebbero risultare molto ostici, e a cui Mishima dedica buona parte dei primi capitoli del libro, ma ciò nonostante resta un buon lavoro, non all'altezza di Neve di primavera e di A briglia sciolta, ma di sicuro interessante, anche perché più degli altri ci mostra l'animo del protagonista.
Tennin gosui(天人五衰, La decomposizione dell'angelo)30, è il capitolo conclusivo della tetralogia de Il mare della fertilità. La vita di Honda cambia completamente il giorno in cui incontra Yasunaga Toru, un giovane e bellissimo orfano di 16 anni. Il romanzo si apre, pensate, il 2 maggio del 1970, e Honda ha oramai 76 anni. Toru, già prima di incontrare Honda, si ritiene un eletto, reputando i tre nei che ha sul corpo, e che scateneranno l'ossessione del vecchio giudice, ora in pensione, come una manifestazione visiva e tangibile della propria superiorità, e ricevendone ulteriore conferma dopo l'incontro con Honda, si convince di essere destinato alla grandiezza, e in base a questa certezza leggerà gli eventi della vita, comportandosi come un piccolo dio, autorizzato ad occuparsi unicamente di sé stesso e delle proprie esigenze e trattando gli altri da vane pedine impotenti. Ma tutto quello che egli crede di essere è Honda che l'ha costruito, è il frutto di una sua fantasia visionaria, e quando, dopo una cruda conversazione con Keiko, amica di vecchia data di Honda, Toru viene messo di fronte alla triste realtà, ovvero che niente di ciò che credeva esiste veramente, e che lui stesso non è che finzione, tutto gli crolla addosso. Perfino il quaderno su cui Kiyoaki annotava i propri sogni, che da semplici premonizioni puntualmente si trasformeranno in realtà vissute dai personaggi nei quali egli si reincarnerà, uno dei leit motiv della tetralogia, che Keiko gli offre come prova, diventa strumento di grande dolore al punto che non perde tempo a distruggerlo.
Quello che Honda credeva un angelo, ora è ammalato. Ma perché? Cos'è che ha portato alla sua malattia?
È la consapevolezza. Quella conoscenza cui in Kinkakuji accennava Kashiwagi. Il sapere che non siamo quel che crediamo di essere, che non siamo dei, ma comuni mortali, che il posto che crediamo ci appartenga in questo mondo, in realtà non è nostro, è solo un'illusione. Toru cerca allora la salvezza nella morte, ma non gli è data questa fortuna. Non muore, ma perde la vista e resterà così per sempre, costretto a confrontarsi con la verità dei fatti senza alcuno dei sotterfugi che il "vedere" il mondo esterno avrebbe potuto permettergli, solo con sé stesso.
È il 22 luglio del 1975, una data che Mishima non vedrà mai. Tutte le convinzioni di Honda cominciano a vacillare, e così il vecchio capisce che ha bisogno di un segnale concreto, che gli dimostri che le sue non sono state vane illusioni, e pertanto si reca a trovare Satoko, la donna che Kiyoaki aveva amato, per la quale era morto e che ormai era badessa da molti anni. Ma quando Honda le chiede se ricorda di Kiyoaki, Satoko risponde di non sapere neanche chi sia, e di non aver mai conosciuto qualcuno con quel nome.
Mishima ci spiega brillantemente le sensazioni di Honda davanti alle parole di Satoko: "La memoria è uno specchio capriccioso. Avviene che le immagini riflesse siano così lontane da non poterle scorgere. Altre volte per contro le offre così vicine al nostro sguardo, da illuderci di averle a portata di mano. La memoria è lo specchio degli inganni."
"Ma se fin dall'inizio Kiyoaki non fosse mai esistito…" Honda brancolava nella nebbia. Il suo colloquio con la badessa sembrava quasi un sogno. Parlava ad alta voce, quasi a voler recuperare il proprio io che recedeva, come la superficie appannata dall'alito sul piano laccato di un vassoio. "Se Kiyoaki non fosse mai esistito non ci sarebbe stato neanche Isao, e nemmeno Ying Chan. E forse – chissà – neppure io stesso."
Infine cadono tutte le certezze. Che Honda non sia stato altro che uno spettatore per tutta la vita? Che abbia sognato tutto? No, non si è trattato di un sogno. È che esistono verità e ricordi che è meglio dimenticare e/o ignorare, come ha fatto Satoko, ed altri ricordi che sono troppo belli, al punto che non si vorrebbe venissero mai cancellati, come, per Honda, l'amicizia con Kiyoaki. Ed allora non ci resta che vivere di illusioni, e ricrearle, che sia stato solo nella nostra mente, che si sia trattato di fatti reali, alla fine che importa? Ognuno può interpretare la realtà come più glia aggrada.
È un libro sul dolore, che permea tutto il romanzo, e sulla vecchiaia e il decadimento che porta. La decomposizione dell'angelo è però anche un libro sulla morte ed un libro di morte egli stesso. È la fine della prosa di Mishima, non solo perché suo ultimo libro, ma anche perché scritto in fretta, privo di quell'eleganza che caratterizza gli altri tre capitoli, ancora più complesso e di difficile lettura, disturbante e destabilizzante, ricco di contraddizioni. È stancante la sua lettura, e mette a dura prova anche chi Mishima non può fare a meno di amarlo... È il libro in cui avviene ciò che più temevamo: Mishima perde interesse nella scrittura, e questo risulta quasi evidente. La scrittura brillante, ricercata, quella prosa quasi maniacale che caratterizzava tutta l'opera mishimiana è venuta meno.
Alla fine anche a Mishima Yukio è toccato risvegliarsi da un sogno, veder crollare le proprie certezze, e capire di dover fare qualcosa. Ma lui non è come Honda, che di fronte alla disfatta, fisica e psichica, oltre che umana e sociale, desidera comunque continuare a vivere e ad assistere passivamente alla vita, eterno voyeur. Mishima è diverso. È un uomo d'azione lui, che non teme la morte, e lo dimostrerà presto...
Nel settembre del 1965, quindi, dà alle stampe il primo capitolo della tetralogia, Haru no yuki, e parte con la moglie per un lungo viaggio in America, in Europa e nell'Asia sudorientale. In ottobre il suo nome appare nella rosa dei candidati del premio Nobel per la Letteratura.
In novembre pubblica a puntate sulla rivista Hihan (批判, Critica), Taiyo to tetsu (太陽と鐡, Sole e acciaio)31, un saggio autobiografico in cui l'autore analizza il rapporto che ha da sempre con il proprio corpo. Il romanzo verrà pubblicato solo nel 1968.
Nel 1966 Mishima decide di scrivere, produrre e dirigere un film da solo. Sarà un mediometraggio e prenderà spunto da una sua novella, Yukoku32.
Yukoku.
"[…]. Ma nel regno delle immagini, dove Mishima non è sovrano, qualcosa gli fa tremare la mano, l'incanto si interrompe, e nella crudezza dei fotogrammi di questo film ritrovato, quel sogno, di cui la letteratura era riuscita a trasmetterci il potere ipnotico, ci appare in tutta la sua umanità e pietosa fragilità."33
Giorgio Amitrano
È la finzione che imita la realtà, o è la realtà che imita la fizione? Yukoku rappresenta un unicum nell'opera di Mishima. Non solo è l'unico film che Mishima abbia diretto, ma è anche tra le sue opere quella che più di tutti sembra raccontare la sua vita. Solo che non racconta il suo passato o presente, come Confessioni di una maschera, bensì il suo futuro. Già, la storia di un uomo che compie seppuku in virtù dei suoi ideali. È di questo che parla il film, ed è questo che rende Yukoku un documento straordinario. E terribile.
Il film prende avvio da uno degli eventi più drammatici della storia del Giappone dell'900, cioè dal fallito colpo di Stato del 26 febbraio del 1936 (Ni-niroku jiken , 二・二六事件). Quel giorno circa 1483 uomini dell'Esercito Imperiale del Giappone (Dai-Nippon Teikoku Rikugun, 大日本帝国陸軍), ideologicamente vicini al nazional-socialismo, occuparono la capitale e uccisero alcuni dei politici più importanti del tempo. La ragione era che, a loro parere, la condizione della popolazione e del Giappone, rispetto al passato recente, cioè all'era Meiji [Meiji-jidai (明治時代), 1867-1912], era peggiorata gravemente, e questo perché il potere, di nuovo, come in era Tokugawa [Tokugawa jidai (徳川時代), 1603-1986], era passato dalle mani dell'Imperatore a quelle dei politici. Il periodo di pace di era Taisho [Taishō jidai (大正時代), 1913-1925], poi, era servito ancor di più a rammollire il popolo nipponico! Con la morte dell'imperatore Taisho, nel 1925, gli era succeduto l'Imperatore Showa, Hirohito (裕仁), dando così avvio ad una nuova era, l'era Showa [Shōwa jidai (昭和時代), 1926-1989). Il tentato colpo di Stato, pertanto, non era un atto contro l'imperatore, bensì un atto che voleva ripetere i fasti che portarono alla Restaurazione Meiji34 e ridare gloria all'Impero. Le truppe pertanto occuparono il Parlamento ed il Ministero della Guerra, ed eseguirono le condanne a morte di quei membri del Parlamento e del Governo, a loro dire colpevoli della situazione attuale. La crisi durò per circa tre giorni, e termino con il ritiro volontario delle truppe alle loro caserme, quando si resero conto non solo che l'azione era invisa alla stessa popolazione giapponese, ma soprattutto che l'Imperatore stesso ne era contrario. Arrestati e processati, i capi della rivolta vennero condannati a morte. Molti di loro, tuttavia, non perirono per mano del boia, ma commisero seppuku di propria mano prima dell'arresto. Mishima all'epoca era giovanissimo, ma in seguito più volte aveva appoggiato gli ideali dell'Incidente del 26 febbraio35. A suo dire quegli uomini avevano agito in buona fede ed alla fine erano addiruttura stati traditi da colui che volevano difendere, l'Imperatore. Costui, in seguito, si macchierà di un ulteriore tradimento, quando, il giorno della resa agli americani, dichiarerà la propria natura mortale. Quel giorno, dirà Mishima, tutti coloro che erano morti in guerra per obbedire alla volontà di un Dio, si erano ritrovati derubati di ogni merito! Da qui parte Yukoku, dove Mishima interpreta il ruolo di un soldato, naturalmente fittizio, che avrebbe dovuto partecipare al colpo di stato, ma che era stato tenuto in disparte dai suoi colleghi perché, unico tra loro, ad avere una moglie.
Mishima interpreta il tenente Takeyama Shinji, che, di ritorno dalla caserma, arriva a casa, dove c'è ad aspettarlo sua moglie Reiko. È già frustrato dalla decisione dei suoi commilitoni di non farlo partecipare all'azione, ma ora è appena venuto a sapere che la rivolta è fallita e che i suoi compagni sono stati condannati a morte. Allora decide. Non può restare inerme, deve per forza fare qualcosa, e quel qualcosa è la morte. Girato totalmente in bianco e nero, per la durata di non piu di una trentina di minuti, con una scenografia che è quella di un palco del teatro Noh, quasi totalmente spoglia, Yukoku non è solo un film sulla morte, ma anche un film sull'amore. La telecamera indugia molto spesso su Reiko, il cui ruolo nel film è di pari importanza a quello del tenete Takeyama. Appena resa partecipe delle intenzioni del marito, la donna non si perde d'animo e va nella sua stanza, dove prende un pugnale che era parte della sua dote nuziale. Lei lo sapeva, quando ha sposato un militare, cosa questo poteva significare. Il tenente è commosso dal suo amore e così decide che se ne andranno insieme. A tal punto Mishima mostra una delicata scena d'amore tra i due, che nel film è molto soffusa, laddove nel racconto era invece molto passionale, quasi feroce. Ricomposti entrambi, lei addirittura si trucca, arriva l'ora del gesto ultimo. Tocca prima a lui, perché, secondo il rituale del seppuku36, ha bisogno di un testimone che poi ne ricomponga il corpo. La scena è straziante, oltre che impressionante e realistica. Poi dopo aver ricomposto il corpo del marito tocca a lei, con un taglio alla gola, come era concesso di morire alle mogli dei samurai. Il film è notevolissimo sotto molti aspetti. È elegante, grazie alla stilizzazione che trae origine dal Noh ed all'uso del bianco e nero. È recitato splendidamente, sia da Mishima, che in realtà non aveva mai brillato nelle sue preceenti performance d'attore, che da Tsuruoka Yoshiko, che interpreta il ruolo di Reiko. È un film muto, dove l'antefatto e la narrazione derivano dall'uso di alcune didascalie scritte su rotoli di carta. Il film oltre che per la sua eccezionale estetica è poi un documento eccezionale per capire il pensiero di Mishima, che aveva oramai già deciso cosa fare col Tate no kai. Non stupirà allora sapere che Yukoku ha rischiato di scomparire dopo la morte dello scrittore, a causa della volontà della famiglia, che ne distrusse tutti i negativi. Fortunatamente alcune copie erano sopravvissute all'estero, negli archivi di quei Festival in cui era girato, pertanto, nel 2005, anno della morte della vedova Mishima, il film è riapparso. Oggi è possibile anche per noi osservare questo capolavoro ritrovato e cercare di carpirne i misteri, perché Yukoku è un film che lascia poco spazio alle parole, è un film dove Mishima preferisce restare in silenzio, dove vuole sottrarsi al nostro sguardo indagatore evitando di guardarci negli occhi (per quasi tutto il film il suo sguardo è celato dalle ombre del cappello di ordinanza) e dove non potendosi affidarte alla scrittura, Mishima ci racconta dei suoi pensieri attraverso le immagini ed il non detto...
Il film Yukoku si classifica secondo al Festival Internazionale di Tours. Frequenta la palestra di kendo del Palazzo Imperiale e in breve tempo viene promosso al grado di quarto dan in quest'arte marziale. Si reca per tre giorni, in ritiro spirituale, al tempio shintoista Omiwa a Nara, in compagnia di Donald Keene37, esperto di letteratura giapponese. Si ferma dieci giorni a Kyoto e poi viaggia attraverso il Kyushu. In dicembre si esercita alla maratona correndo all'alba nello stadio nazionale e in questa occasione conosce alcuni giovani che poi arruolerà nel suo esercito personale.
Nel febbraio del 1967 incomincia la pubblicazione a puntate del romanzo Honba, il secondo della tetralogia Hojo no umi.
In aprile partecipa alle esercitazioni del Jieitai (自衛隊, Esercito per la Difesa Nazionale)38 in un campo militare alle pendici del monte Fuji e vi rimane un mese e mezzo. È nominato direttore dello Stadio Nazionale e viene eletto dirigente dell'Associazione degli artisti e dei letterati. In luglio incomincia a frequentare una delle migliori palestre di karate (空手) del Giappone.
Viene scelto quale candidato al premio Nobel.
Nel febbraio del 1968 si esercita nella guida di carri armati in un campo militare dello Hokkaido. In marzo partecipa con venti studenti ai corsi di istruzione militare del Jieitai, nel campo di Takigahara, alle falde del Fuji. Partecipa con trentatré studenti alle esercitazioni militari del campo di Takigahara. In agosto recita nel film tratto dalla sua novella Kurotokage (Tit. int., Black Lizzard), diretto da Fukasaku Kinji (深作 欣二), ed in cui lo stesso Mishima recita nel ruolo di una statua umana. È in questo periodo che conosce Morita Masakatsu (森田必勝), lo studente dell'Università Waseda (早稲田大学, Waseda Daigaku), di vent'anni più giovane del maestro, che si suiciderà con lui. In settembre incomincia la pubblicazione a puntate di Akatsuki no tera, il terzo romanzo della tetralogia Hojo no umi.
Si dedica al karate con il suo gruppo di studenti, con cui decide di formare un corpo para-militare chiamato Tate no kai (楯の会, Associazione degli scudi), che sarà ufficialmente fondato con una cerimonia il 5 ottobre.
Nello stesso mese viene anche presentato il balletto Miranda (ミランダ ) da lui ideato, in occasione delle manifestazioni indette dallo Stato per festeggiare il centenario della Restaurazione Meiji (明治維新, Meiji Ishin)39. Siamo negli anni della contestazione, e in novembre entra coraggiosamente nell'Università Imperiale di Tokyo e affronta gli studenti in rivolta, nel tentativo d'incontrare il preside tenuto prigioniero.
Nel febbraio del 1969 partecipa con quarantacinque studenti alle esercitazioni militari di Gotenba, e in aprile partecipa ai campionati mondiali di kendo.
A fine luglio partecipa a un ricevimento in occasione della presentazione del film Hitokiri (人斬り L'uccisione. Tit. int. Tenchu!)40, di Gosha Hideo (五社 英雄). Il film è la storia vera di quattro samurai (侍), che si ribellarono allo shogunato dei Tokugawa (徳川幕府, Tokugawa bakufu) e sostennero poi i movimenti che portarono alla Restaurazione Meiji. Mishima interpreta uno di essi, che infine commette seppuku41.
Viene messo in scena un dramma tratto dal romanzo Haru no yuki, ed in ottobre organizza una parata del suo esercito personale, che sfilerà nelloStadio Nazionale per festeggiare il primo anniversario della sua costituzione. In dicembre soggiorna quattro giorni in Corea.
Il 14 gennaio del 1970 festeggia il suo quarantacinquesimo compleanno42, ed a marzo un'emittente televisiva privata trasmette uno sceneggiato tratto dal romanzo Haru no yuki. La rivista americana Esquire lo include nella lista dei cento uomini più importanti del mondo e lo chiama l'Hemingway giapponese.
Trascorre quasi un mese nel campo militare di Takigahara con trenta studenti del Tate no kai. Inizia ad elaborare un piano di azione con il capogruppo, lo studente Morita. Espone il suo piano d'azione anche agli studenti Ogawa e Koga. Compone le parole dell'inno del suo esercito privato, intitolato Sorgete! Giovani leoni rossi e lo incide su un disco. Ottiene il permesso di esercitarsi ogni mese con i membri del Tate no kai nella piazza antistante la terrazza della caserma di Ichigatani, su cui pronuncerà il suo ultimo discorso.
Redige il suo testamento, mentre nel mese di luglio esce la prima puntata del romanzo Tennin gosui (la traduzione letterale del titolo è I cinque sintomi della caduta degli angeli), l'ultimo della tetralogia del Mare della fertilità. In agosto, durante l'abituale periodo di Vacanza a Shimoda, incomincia a scrivere l'ultimo capitolo di Tennin gosui, che terminerà il giorno precedente il suo suicidio.
Il 5 ottobre il Tate no kai sfila per l'ultima volta in parata nello Stadio Nazionale. Si esercita per dieci giorni con cinquanta studenti nel campo militare di Takigahara.
Posa per l'ultima fotografia ufficiale con i quattro più fedeli membri del Tate no kai: Morita, Koga H., Ogawa e Koga M., e tutti indossano la divisa del gruppo. Il tre novembre compila, con l'aiuto della moglie, una bibliografia delle sue opere. Il quattro parte per Takigahara, dove trascorrerà, con quarantacinque studenti, tre giorni dedicati alle ultime esercitazioni.
Dell'undici al diciassette, in uno dei Grandi Magazzini di Ikebukuro, a Takya, si tiene la Mostra di Yukio Mishima che illustra i momenti fondamentali della sua vita di uomo e di artista. Il diciassette partecipa ad un ricevimento all'Hotel Imperiale offerto da una casa editrice.
È il 25 novembre del 1970.
Mishima Yukio si sveglia presto, alle sei. Alle sette è all'aereoporto, a salutare Donald Keene, in partenza per gli USA43. Poi torna a casa. Prepara il manoscritto completo di Tennin gosui, che ha terminato di scrivere il giorno prima, vi appone l'indirizzo dell'editore, e lascia tre biglietti sul tavolo della propria scrivania. Si fa una doccia, si rade accuratamente, ma non fa colazione. È il giorno tanto atteso. Oggi metterà in atto il suo piano. Si prepara fin nei minimi particolari, arrivando al punto da inserire strati di cotone nell'ano, per evitare "sgradevoli fuoriuscite di budella", aveva detto a Morita. Il giovane e Mishima si erano incontrati la sera prima, ed avevano passato alcune ore da soli. Tra i due era nata una certa attrazione, ed alla fine erano diventati amanti. Forse, la sera prima avevano fatto l'amore, per l'ultima volta. Ultima perché Mishima sa bene cosa succederà se il suo piano dovesse fallire. Non gli resterebbe altra scelta che la morte, e Morita Masakatsu ha deciso che in tal caso lo seguirà.
Al piano parteciperanno altri tre membri del Tate no kai: Koga Masayoshi (古賀正義), Ogawa Masahiro (小川雅弘) e l'esperto di katana Koga Hiroyasu (古賀浩靖). Tutti e quattro gli studenti arrivano in mattinata a casa dello scrittore. Sono venuti a prenderlo con un'auto, e indossano, come il loro Maestro, le uniformi ufficiali del gruppo. Devono recarsi alla Caserma militare di Ichigatani, sede dell'Agenzia per la Difesa, dove Mishima ha preso appuntamento col Generale Mashita, comandante in capo delle forze presenti in caserma ed appassionato di armi. Mishima lo conosce bene, pertanto ottiene l'incontro con la scusa di volergli mostrare un'antica katana ora in suo possesso.
In auto cantano l'inno ufficiale del Tate no kai.
Una volta arrivati alla caserma, all'ingresso viene chiesto a Mishima di lasciare l'arma, ma lo scrittore, presentando il permesso del Generale, ottiene di poter salire nel suo ufficio con la katana. Al Generale giustifica la presenza dei quatto allievi dicendo che tra poche ore avrebbero dovuto compiere un'esercitazione.
I primi minuti sono di totale cordialità, poi i quattro giovani aggrediscono il generale e lo legano e imbavagliano. Mishima prende il comando e dice al Generale Mashita che se non ordinerà ai suoi sottoposti di radunarsi nello spiazzo antistante la caserma lo ucciderà, e poi, insieme ai quattro compagni, si toglierà la vita. Il Generale è incredulo, ma nel frattempo qualcuno sente umori sospetti provenire dal suo ufficio e pertanto prova ad entrare, ma viene ferito ed allontanato da alcuni fendenti di spada.
Mishima è stato scoperto! Si cerca di forzare la porta dell'ufficio, ma Mishima è ben barricato all'interno, inoltre la presenza della katana, che provoca altri feriti nel frattempo, lo mette in una situazione di vantaggio, pertanto alla fine è deciso di assecondarlo, e le forze presenti in caserma sono radunate nello spiazzo sotto l'ufficio del Generale.
Mishima vuole leggere loro un Proclama44, scritto di proprio pugno. Si tratta di una arringa che vuole risvegliare le coscenze dei membri del Jieitai.
Mishima critica il Giappone contemporaneo: «Abbiamo visto come il Giappone del dopoguerra per seguire l'infatuazione della prosperità economica, abbia dimenticato i grandi fondamenti della nazione; lo abbiamo visto perdere lo spirito nazionale e correre verso il futuro, senza correggere il presente; lo abbiamo visto piombare nell'ipocrisia e precipitare nel vuoto spirituale.
Abbiamo assistito stringendo i denti, al gioco della politica interna a dissimulare le contraddizioni, mentre sprofondava nell'ipocrisia e nella bramosia di potere.
Abbiamo assistito alla difesa dei particolarismi e degli interessi personali.
Abbiamo visto affidare a Paesi stranieri i piani riguardanti i prossimi cento anni della Nazione; abbiamo visto l'umiliazione della disfatta nascosta per non essere cancellata, e gli stessi nostri connazionali profanare la storia e le tradizioni del Giappone.
Abbiamo sognato di vedere i veri Giapponesi e lo spirito dei veri samurai sopravvivere nel Jieitai.
Tuttavia è chiaro che secondo la legge il Jieitai è incostituzionale e che la difesa, problema fondamentale per un paese, è stata dimenticata con opportunistiche interpretazioni legali.»
Secondo Mishima è nel fatto che esista un esercito che in realtà non è tale, che «è da ricercare la causa fondamentale della degenerazione morale e del decadimento spirituale dei giapponesi.
Ci siamo convinti che il Giappone dormiente si sveglierà solo quando il Jieitai si sveglierà. Siamo assolutamente certi che dobbiamo adoperarci al massimo, pur nei limiti delle nostre umili energie, come cittadini di questa Nazione, per far sì che un giorno, con un emendamento alla Costituzione, il Jieitai assurga al suo significato originale di nucleo su cui costruire un esercito, e poi diventi un autentico esercito nazionale. »
Ma la situazione del Jieitai è in realtà andata peggiorando col passare degli anni, fino alla risoluzione finale di trasformarlo da esercito mera forza di polizia: «Se nel Jieitai, come avevamo sognato, sopravviveva lo spirito del samurai, come potevano i suoi membri tollerare questa situazione?
Se siete uomini, la vostra fierezza virile, come può permettere tutto questo?
Quando, continuando a sopportare, si oltrepassa anche l'ultima linea, che si dovrebbe difendere, è da uomo, da samurai, ribellarsi assolutamente.
Noi, trepidamente siamo rimasti in ascolto. Ma nel Jieitai, non si è levata nessuna voce virile contro l'ordine vergognoso che dice: "Difendete la Costituzione che vi rinnega"!
In questa circostanza, consapevoli delle vostre forze, sapendo che non esiste altra strada che quella di correggere la logica distorta della Nazione, voi del Jieitai siete rimasti in silenzio, come un canarino senza voce.
Abbiamo provato dolore, sdegno e disperazione. »
Infine lo scrittore spiega il perché del proprio gesto: «Abbiamo aspettato quattro anni. L'ultimo anno con ansia. Ora non possiamo più aspettare!
Non possiamo più aspettare qualcuno che continua a rinnegare se stesso.
Tuttavia aspetterò ancora trenta minuti. gli ultimi trenta minuti!
Insorgeremo insieme e moriremo insieme per la giusta causa.
Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto!
È bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito?
Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita?
Ora testimonieremo l'esistenza di un valore superiore all'attaccamento alla vita.
Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia!
È il Giappone! È il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo.
Non c'è nessuno tra voi che desideri morire per sbattere il proprio corpo contro quella Costituzione
che ha evirato il Giappone?
Se c'è, che sorga e muoia con noi!
Abbiamo intrapreso questa azione spinti dall'ardente desiderio che voi, che avete uno spirito puro,
possiate tornare ad essere veri uomini, veri samurai! »
In teoria il discorso dovrebbe risvegliare la coscienza dei militari e della popolazione e dovrebbe portare ad una rivolta, con conseguente colpo di Stato, che riporti il potere nelle mani dell'Imperatore (sic!). In teoria... In realtà è un discorso sconclusionato. Indegno di uno scrittore del suo calibro. Sembra lui stesso non saper dove andare a parare, ma la cosa peggiore è che ha fatto un errore di valutazione...
È ironico, se ci pensate. Ha organizzato tutto alla perfezione. È più o meno andato tutto come aveva previsto. Ora sta finalmente per parlare alla folla, che si trova diversi piani in basso, attorniata dal rumore del traffico, dei membri delle Forze di autodifesa che schiamazzano, delle sirene della polizia che nel frattem,po è giunta, insieme ai giornalisti... Eppure Mishima non ha pensato di portare un megafono! Nessuno riesce a sentirlo. Il suo collo è gonfio a forza di gridare. Fa del suo meglio, ma gli arrivano solo insulti, minacce ed offese. Lui le sente bene, ma loro, dal basso, non capiscono una parola di quel che dice. Vedono solo un pagliaccio in uniforme militare che blatera.
È la fine. Mishima capisce che ha fallito.
Forse avrebbe preferito evitarlo. Chissà, magari si aspettava che tutto sarebbe finito per il meglio, e che infine sarebbe uscito dall'edificio sulle spalle de suoi commilitoni e dei membri del Jieitai, glorificato come salvatore della patria, magari un nuovo Dio? O forse, in realtà sapeva già come sarebbe finita, ed aveva organizzato tutto solo per avere una bella e gloriosa morte?
Non lo sapremo mai...
Quello che sappiamo è che Mishima rientra dal balcone nell'ufficio del Generale. Si toglie la giacca e assume la posizione di seiza. Si fa passare il tanto da Morita, che sarà il suo kaishakunin, il suo assistente, che dovrà decapitarlo subito dopo il seppuku, per evitare che soffra troppo. Il Generale cerca di fermarlo, ma lui è risoluto e si squarcia il ventre. Ma soffre. Soffre tantissimo. Morita ha le lacrime agli occhi. Piange, e ha paura. Sferra alcuni colpi con la katana, ma non lo uccide. Lo ferisce solo, gravemente, ed accresce il suo dolore. Fortuna che c'è Koga. Lui è esperto di katana. La strappa dalle mani di Morita e compie il suo dovere, in un colpo solo. Ora tocca a Morita. Ma non ce la fa. Prende il tanto dalle mani del corpo senza vita di Mishima, e non riesce a farsi poco più di un graffietto. Di nuovo, fortuna che c'è Koga...
I corpi dei due amanti45 sono ora seduti in terra. I tre membri del Tate no kai rimasti piangono. Il Generale Mashita allora prende la situazione in mano, e ordina loro di ricomporre i corpi dei compagni e di coprirli. Poi chiede loro di slegarlo, ed essi acconsentono. Ormai hanno finito46.
Non c'è bisogno di dire che l'evento sconvolse il Giappone. La stampa e i politici liquidarono il fatto come il gesto di un pazzo. Il padre dello scrittore disse che era stato capace di metterlo in imbarazzo anche morendo, mentre la madre disse che finalmente il figlio aveva realizzato ciò che sempre aveva voluto fare. La moglie, Yoko, disse che non ne era sorpresa, anche se credeva che l'avrebbe fatto solo tra qualche anno. "Yoko non ha fantasia", diceva di lei Yukio...
Eppure ciò che più ha impressionato è stata la reazione di Kawabata. Quel vecchio scrittore di settant'anni. Lui preferì restare in silenzio, col proprio dolore.
«Ed ora tenuta in serbo per la fine, l'ultima immagine e la più traumatizzante. […] Due teste sul tappeto […], messe una accanto all'altra come birilli, così vicine che quasi si toccano. […] Due teste mozzate, passate ormai in altri mondi in cui regna un'altra legge, e che a guardarle suscitano sbigottimento più che orrore. Ogni giudizio di valore, sia esso morale, politico o estetico, in loro presenza, momentaneamente almeno, è ridotto al silenzio. […] Due oggetti, relitti già quasi inorganici di annientate strutture, che anch'essi, una volta passati attraverso il fuoco, saranno ridotti a residui minerali e ceneri; neppure soggetti di meditazione, perché ci mancano i dati per meditare su di essi. Due relitti, sospinti dal fiume dell'azione, e che l'immensa ondata ha lasciato per un attimo in secca sulla sabbia, e poi trascina via..»47
Postfazione.
Permettetemi due righe per chiudere.
Sono passati quarant'anni esatti dal giorno della morte di Mishima Yukio.
Per alcuni anni il Giappone ha preferito non parlare di lui, poi si è tornato a parlare della sua opera e dei suoi scritti, ma il suo Paese preferiva comunque non accennare alla sua morte. Alcuni anni fa la situazione è cambiata e il Giappone ha deciso di affrontare quella che per alcuni era una vera e propria vergogna, il tema della morte di Mishima, appunto.
La ritrosia del Giappone ad affrontare l'argomento non deve sorprendere, se si pensa che il paese cercava di uscire da quell'etichetta di "antiquato e primitivo" che l'occidente gli aveva dato e che ora tornava imperiosa grazie ad uno scrittore squilibrato che aveva deciso di aprirsi lo stomaco in pubblico!
Tuttavia era impossibile non notare l'interesse crescente che la sua contraddittoria figura riscuoteva in occidente, e pertanto, che prima o poi qualcuno trovasse il coraggio di non parlare solo del Mishima scrittore, dandy alla moda e palestrato, ma anche della sua morte, in fondo era scontato.
La prima occasione davvero importante è stata nel 2005, a ottant'anni dalla sua nascita. Sono poi numerosissime le celebrazioni già organizzate in tutto il mondo, non solo in Giappone, per oggi, 25 novembre 2010, quarant'anni dopo quei drammatici eventi.
In fondo è giusto così.
Mishima è e restarà una delle figure più complesse della storia della letteratura. Uomo sensibile, sessualmente ambiguo, molto bello, narcisista fino allo stremo, dandy, ricco, potente ed influente, un fenomeno da baraccone, uno showman, un'invasato, un folle, un esteta, un poeta, uno scrittore.
Mishima Yukio è tutto questo.
È impossible parlare di Mishima senza contemplare la sua vita.
È falso, di certo, che tutta la sua vita sia stata espressa nella sua letteratura. Sì, Confessioni di una maschera è parzialmente autobiografico, ma solo parzialmente, appunto. Nessuno scrittore parla di sé a tal punto in un proprio scritto da cancellare totalmente la finzione, altrimenti non sarebbe più un romanzo, ma un saggio! E Mishima non fa eccezione a questo, anzi, se la sua letteratura gli è spesso servita per esplicitare il proprio pensiero, non si può negare che tutta la sua vita, in realtà non sia stata altro che una messa in scena essa stessa. Mishima, come pochi altri, ha fatto della propria vita uno spettacolo, una recita al servizio del pubblico giapponese, ma soprattutto occidentale. Oe Kenzaburo (大江 健三郎) in effetti, all'indomani della morte di Mishima, disse che anche il suo suicidio altro non era che un teatrino messo su per il pubblico straniero!
Non credo in un giudizio così severo, ma in un certo senso il bisogno di attenzione da parte del pubblico da parte di Mishima stesso è evidente.
Ma anche di questo, alla fine poco importa.
Mishima Yukio ha lasciato nell'ambito della cultura nipponica una traccia indelebile che, come una macchia di inchiostro sull'acqua, si è estesa fino alla cultura occidentale. È una macchia di china, una di quelle che non va via, qualunque sia la maniera in cui si è formata.
È questo che conta.
Ci tengo ad alcune precisazioni.
Non sono uno studente né un docente di yamatologia, pertanto non sono un esperto di Mishima, ma solo un appassionato.
Per la vita dello scrittore mi sono limitato ad usare come fonte la biografia contenuta nel volume, La spada. Gli altri avvenimenti sono mutuati per lo più dal saggio, bellissimo, della Yourcenar. Tutti i commenti alle opere sono del sottoscritto, totalmente soggettivi, scritti di mio pugno.
Le fonti citate nel testo non hanno alcuna pretesa di completezza. La data di pubblicazione riportata è quella della prima edizione italiana. Numerose altre sono le opere che meritavano di essere citate e che sono state editate in Italia, ma ho preferito compiere una scelta, anch'essa soggettiva, per quanto difficile.
Non ho voluto, di mia sponte, analizzare molto il rapporto di Mishima con il cinema, perché già oggetto in passato di analisi su AsianWorld, ad opera di Yamarashi, nel thread The Yukio Mishima project48.
Per qualsiasi errore e/ dimenticanza sono a vostra disposizione
L'angelo in decomposizione giunge la termine.
Permettetemi ancora di dire qualcos'altro.
Il progetto trova la sua perfetta conclusione nella pubblicazione della traduzione dei sottotitoli del capolavoro di Paul Schrader, Mishima, a Life in Four Chapters49.
Chi scrive non potrà che sentirsi onorato qualora, dopo esservi sorbiti la sua loquela, decideste comunque di dare un'occhiata anche al film. Credetemi, ne vale la pena!
Per ultima, la cosa più importante.
Voglio ringraziare tutto lo staff di AsianWorld per il loro supporto a questo progetto, per aver assecondato le mie passioni ed avermi permesso di tributare a questo scrittore quanto effettivamente meritava. Lo so, in fondo il risultato è un po' scadente, nulla che non sia già stato detto su Mishima, ma non avevo certo intenzione di riscrivere la critica mishimiana!
Ma voglio comunque ringraziarli per i loro consigli e per la loro disponibilità, perché AsianWorld è un gruppo che cerca di fare quanto può per rendere questo posto un luogo dove vale la pena restare, ed io credo che ci stia riuscendo.
Grazie per la cortese attenzione,
See ya' soon!
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Note.
1 Chūshingura(忠臣蔵), o anche Kanadehon Chūshingura (仮名手本忠臣蔵). È una delle più importanti opere del teatro giapponese. Racconta di un fatto storico realmente accaduto e passato alla storia col nome "la vendetta dei 47 ronin". Ronin (浪人) altro non è che un samurai (侍) senza padrone. I quarantasette ronin erano un gruppo di samurai al servizio di Asano Naganori (浅野長矩) , rimasti senza padrone (e quindi divenuti ronin), dopo che il loro daimyo (大名, cioè "padrone") venne costretto a commettere seppuku (di cui parleremo più avanti) per aver assalito il maestro di cerimonia dello Shogun (将 軍), Kira Yoshinaka (吉良義央), che lo aveva insultato. Gli uomini di Asano, dopo aver atteso per tre anni, pianificando l'attacco, lo vendicarono uccidendo il cortigiano e tutti i suoi discendenti maschi. Nonostante avessero seguito i precetti del bushido (武士道), il codice del guerriero, vendicando il loro padrone e la loro impresa fosse stata vista con forte approvazione dai nobili di corte, 46 dei 47 ronin vennero a loro volta obbligati a commettere seppuku per aver sfidato l'autorità imperiale. Il più giovane di loro, Terasaka Kichiemon, invece ricevette l'ordine di rimanere in vita per continuare a fare con regolarità le offerte in favore degli spiriti degli altri condannati, poiché solo uno dei quarantasette ronin era abbastanza valoroso da essere degno di farlo. Le spoglie dei 46 ronin, poi raggiunte da quella di Terasaka, riposano al Sengakuji (泉岳寺), vicino alla tomba del loro Signore.
2 Asahi Shinbun (新聞, "Giornale del sole del mattino"), è il più importante quotidiano nipponico.
3 Racconterà in sèguito il padre dello scrittore, che il nome era stato scelto a caso dal figlio, sfogliando l'elenco telefonico.
4 Mishima Yukio, La foresta in fiore, Milano, 1995.
5 Fondata nel 1877, la Tokyo daigaku non solo è l'università più prestigiosa del Giappone, ma anche una delle più rinomate a livello mondiale.
6 Pubblicato in: Mishima Yukio, La dimora delle bambole, Milano, 2010.
7 Kawabata Yasunari, uno dei più grandi scrittori del Novecento, non solo giapponese, insignito del premio Nobel per la Letteratura nel 1968, era nato a Osaka, il 14 giugno del 1989. Ebbe un rapporto molto intenso con Mishima, fatto di stima e rispetto, ma anche di affetto. Kawabata divenne in un certo senso il mentore del giovane Mishima, nonoistante i due, come scrittori, avessero ben poco in comune. L'intensità del rapporto tra i due è ben testimoniata dal fatto che tennero corrispondenza tra di loro fino a pochi giorni prima della morte del più giovane. Sarà proprio Kawabata ad avere l'onore/onere, di svolgere il ruolo di Maestro di cerimonia (un ruolo cui lo scrittore era, ahimé, abituato) al funerale di Mishima, dove tenne uno struggente discorso funebre in cui preferì parlare del defunto senza mai accennare agli eventi inerenti alla sua dipartita. Muore anch'egli suicida, il 16 aprile del 1972. Al contrario del proprio protetto, Kawabata se ne va in silenzio, senza clamore, limitandosi a girare la chiavetta del gas.
8 Mishima Yukio, Confessioni di una maschera, Milano, 1982.
9 Mishima Yukio, Sete d'amore, Parma, 1999.
10 Mishima Yukio, Colori Proibiti, Milano, 2009.
11 Ono no Komachi, poetessa vissuta in epoca Heian (平安時代, Heian jidai, 794 d.C - 1185 d.C.), tra i maggiori rappresentanti della poetica nipponica. Ben poco si sa di lei, neanche la data di nascita (c. 825) e quella di morte (c. 900) sono certe. Molti dei suoi waka (和歌), poesia in lingua autoctona, sono stati inclusi nella grandiosa antologia poetica Kokinwakashu (古今和歌集), la maggiore delle antologie poetiche imperiali di epoca Heian.
12 Mishima Yukio, La voce delle onde, Milano, 1962.
13 Shikibu Murasaki, Storia di Genji, il principe splendente, Torino, 2006 e Id., La signora della barca. Il ponte dei sogni, Milano, 2002. Trattasi del capolavoro assoluto della narrativa nipponica, nonché di uno dei massimi vertici della letteratura mondiale. È stato scritto intorno al 1001 d.C..
14 Bellezza
15 Mori Ogai, nato Mori Rintaro (森 林太郎), nacque a Tsuwano , il 17 febbraio del 1862, nella provincia di Iwami, figlio di un medico. Dimostrò precocemente una forte inclinazione per l'apprendimento studiando la poesia cinese, l'olandese e il tedesco.Una volta compiuti gli studi di medicina ed entrato nel corpo medico dell'esercito, si recò in Germania dove perfezionò gli studi ai massimi livelli dell'epoca. A quel tempo il Giappone stava vivendo una modernizzazione globale, ed anche la medicina divenne oggetto di una profondissima revisione con l'abbandono delle metodologie tradizionali e l'acquisizione della scienza occidentale. Nel 1907 raggiunse il massimo grado nell'ambito dei servizi sanitari dell'esercito, il che faceva di lui un burocrate della casa imperiale. Questo ruolo comunque non spense le idee maturate durante i quattro anni dell'esperienza europea. Fu un propugnatore della modernizzazione e del pensiero scientifico occidentale ma si rese perfettamente conto che una cultura esterna, soprattutto in un paese al tempo chiuso come il Giappone, non si poteva introdurre d'imperio, ma doveva per forza avere tempi di elaborazione e maturazione adeguati. La sua vasta opera letteraria comprende traduzioni di opere occidentali, saggi, romanzi, poesie; si cimentò anche con il romanzo storico e la biografia. Il suo capolavoro è Gan [(雁, L'oca selvatica). Ed. it.: Mori Ogai, L'oca selvatica, Venezia, 2005]. Muore a Tokyo, il 9 luglio del 1922. È ritenuto uno dei padri della moderna letteratura giapponese.
16 Mishima Yukio, Il Padiglione d'oro, Milano, 1986.
17 L'ultima volta nel 2 giugno nel 1950. Fu un giovane novizio a dar fuoco al tempio. Si trattò di semplice follia, come il processo al monaco, sopravvissuto all'incendio contro la propria volontà, sentenziò. È a questo evento che si ispira il romanzo.
18 Uno dei maggiori quotidiani nipponici. La stessa redazione pubblica anche The Daily Yomiuri, il più diffuso quotidiano giapponese in lingua inglese.
19 Mishima Yukio, Una virtù vacillante, Torino, 2009.
20 Mishima Yukio, La casa di Kyoko, in Mishima. Romanzi e Racconti, Vol. I, Milano, 2004.
21 Kato Shuichi, Storia della letteratura giapponese, Vol. III, Venezia, 1996. Kato è stato uno dei più grandi critici della storia del Giappone. È morto nel 2008.
22 Tradotto da raggioverde, qui, su AsianWorld, cui si rinvia per un approfondimento.
23 Mishima Yukio, Il sapore della gloria, Milano, 2010.
24 Mishima Yukio, La spada. Riflessioni sulla morte di Mishima, Milano, 2009.
25 Un altro dei maggiori quotidiani nipponici.
26 Mishima Yukio, Neve di primavera, Milano, 2009.
27 Mishima Yukio, A briglia sciolta, Milano, 2010. Il romanzo era già apparso in Italia anni prima, col titolo Cavalli in fuga, mutuato dalla versione inglese dell'opera, Runaway Horses. Il titolo giapponese può essere tradotto con "cavalli al galoppo", pertanto entrambe le traduzioni sono più o meno corrette, ma ho preferito comunque attenermi a quella più recente.
28 Vedi più avanti l'approfondimento su Yukoku.
29 Mishima Yukio, Il tempio dell'alba, in Mishima. Romanzi e Racconti, Vol. II, Milano, 2006.
30 Mishima Yukio, La decomposizione dell'angelo, in Mishima. Romanzi e Racconti, Vol. II, cit. Il titolo della prima edizione italiana, alquanto libero, è Lo specchio degli inganni.
31 Mishima Yukio, Sole e acciaio, Parma, 2000,
32 Nella traduzione di _Benares_, qui, su AsianWorld.
33 Giorgio Amitrano, Yukio Mishima. Esibizionista fino a un suicidio in stile samurai, in La Repubblica, 26/08/2006.
34 Vedi nota 39.
35 Nel testo di presentazione al film, Mishima Yukio disse che "nessun periodo della storia del Giappone fu tanto astrattamente sincero nei riti della morte quanto l'anno 1936. Mai i giovani vollero essere assoluti in quei riti quanto gli officiali della guardia imperiale di quegli anni. Non volevano esistere se non sublimando le tradizioni dei samurai. Ma dalla loro epoca e dalla loro età, questi giovani avevano ricevuto anche il desiderio dell'amore e della sessualità. E anche in questi, si volevano assoluti."
36 Vedi nota 41.
37 Donald Keene, nato il 6 giugno del 1922, è uno dei più eminenti yamatologi del pianeta. Fondamentali, ai fini della conoscenza in occidente della cultura nipponica, sia molti dei suoi studi che le sue traduzioni.
38 Jieitai, sono le cd. Forze di autodifesa nazionali, sorte in seguito al disfacimento dell'armata giapponese come conseguenza alla sconfitta militare nelle Seconda guerra mondiale. L'organismo di difesa nazionale è nato sulla base della legge sulle forze di autodifesa del 1954 (Jieitai ho) ed è organizzato per assicurare il controllo civile sulle forze armate. Il risultato è un sistema militare unico. Tutto il personale delle forze di autodifesa è tecnicamente composto da soli civili: quelli in uniforme sono classificati come civili speciali in servizio e sono subordinati ai civili speciali che gestiscono l'Agenzia per la Difesa. Non ci sono leggi sul segreto militare e i crimini commessi dal personale militare, sia in base che fuori, sia in servizio che in licenza, di natura militare o meno, sono tutti giudicati dalle normali procedure della corte civile secondo l'appropriata giurisdizione. L'istituzione del Jieitai nasce in seguito alla promulgazione della nuova Costituzione giapponese (Nihon-koku-kenpo, 日本国憲法), nel 1947, voluta dal Generale McArthur, che all'art. 9 dispone: "Il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia di un uso della forza per risolvere le dispute internazionali"; inoltre "i potenziali di forze terrestri, aeree o navali non saranno mai mantenuti.". Ne consegue una situazione sui generis, se si pensa che in realtà quello che spesso si sente chiamare Ministero della Difesa, e che Mishima assalta il 25 novembre del 1970, in Giappone, in realtà, non è tale, in quanto si tratta di una semplice agenzia civile, l'Agenzia per la Difesa di cui sopra, appunto! Per comodità, tuttavia, anche nelle traduzioni, si preferisce usare il termine Ministero.
39 In seguito ai movimenti che riportarono di fatto il potere nelle mani dell'Imperatore, dopo che per quasi 300 anni la famiglia Tokugawa aveva detenuto l'effettivo potere, il primo, l'Imperatore Meiji (明治天皇, Meiji-tenno), attuò una serie di politiche che aprirono i confini del giappone, dopo anni di isolamento, al mondo ed alla cultura occidentale. Queste politiche, e l'era in cui venner attuate, vanno sotto il nome di Restaurazione Meiji (1868-1912).
40 Nella traduzione del buon Polpa, qui, su AsianWorld.
41 Il seppukuè il suicidio rituale compiuto dai samurai. Le ragioni che spingono al seppuku sono principalmente quelle dell'onore, ma un samurai fedele può compiere seppuku anche per ordine del proprio daimyo, senza chiedere spiegazioni. Si tratta di un rito molto complesso, ed altrettanto feroce. Il samurai che decideva o cui veniva ordinato il seppuku, doveva sedesi in terra, con le gambe icrociate, nella posizione di seiza (正座) in maniera tale da morire in una posa "decorosa" evitando di cadere in terra all'indietro. Successivamente, con il tanto (短刀), pugnale a lama corta, tipico del Giappone, il samurai doveva provocarsi un profondo taglio al ventre, secondo la cultura orientale sede dell'anima, da sinistra verso destra, e poi verso l'alto. Durante le guerre, spesso i samurai usavano, al posto del tanto, il wakizashi (脇差), spada corta che essi avevano sempre con sé. La morte sarebbe sopraggiunta per dissanguamento, ma dato l'inimmaginabile dolore causato dallo sventramento, era concesso al suicida di farsi assistere da un attendente, il kaishakunin (介錯人), per lo più amico del suicida, esperto nell'uso del katana (刀). Il suo compito era di evitare che il suicida soffrisse troppo, o comunque fino al punto da avere il volto terribilmente deformato dall'agonia, in quanto, come abbiamo visto, il seppuku, oltre che morte senza disonore, doveva anche essere una bella morte. Pertanto il kaishakunin aveva l'onere di decapitare il samurai che si stava sventrando con un colpo secco di katana. In effetti nessun'altra arma avrebbe mai potuto essere più efficace a tale scopo, visto che ancora oggi il katana è considerata la più complessa e perfetta arma bianca della storia, tuttavia era necessaria anche una certa tecnica nel "taglio", perché altrimenti si rischiava solo di prolungare orribilmente l'agonia del suicida. La decapitazione, anch'essa da eseguire secondo specifiche movenze rituali, non doveva essere completa, perché secondo credenza diffusa, il samurai che perdeva, letteralmente, la testa, diventava portatore di disgrazia e di disonore, pertanto il kaishakushin doveva solo affondare la lama nel collo dell'assistito, uccidendolo, ma non lasciando cadere la sua testa per terra. Il seppuku è diverso sia dallo shinju, cioè dal doppio suicidio d'amore, compiuto per lo più per annegamento da due amanti cui il destino sembrerebbe impedire di stare insieme, sia dal junshi (殉死), cioè l'accompagnamento nella morte al proprio padrone, che indicava il suicidio compiuto dal servitore che si toglieva la vita per seguire il padrone nella morte. Quest'ultimo avveniva per lo più per seppuku, ma più speso per harakiri (腹切り), cioè sì morte per sventramento, ma senza alcun rituale lungo e complesso, e senza alcun kaishakushin ad assistere.
42 Quarantaseiesimo, in realtà. I giapponesi, infatti, sono soliti contare gli anni partendo da uno, e non da zero, come noi.
43 È lo stesso keene a raccontarlo in più di una delle sue interviste.
44 Mishima Yukio, Proclama, in La spada, cit., da cui sono tratte tutte le citazioni presenti nel testo.
45 In effetti uno dei punti più controversi sulla morte di Mishima Yukio riguarda proprio la definizione del suo suicidio. Shinju? O seppuku? Ma in fondo, che importa?
46 Nel processo che ne seguirà verranno condannati a circa quattro anni di reclusione cadauno.
47 Yourcenar Marguerite, Mishima o la visione del vuoto, Milano, 2005.
48 Qui su AsianWorld.
49 Lo trovate qui, in AltroCinema.
Messaggio modificato da fabiojappo il 25 November 2020 - 09:58 AM
fabiojappo 25 Nov 2010
Evviva (anzi brucia!) "Il padiglione d'oro" (il mio preferito)
Grazie anche per i sottotitoli del bel film di Schrader (la musica di Glass ). Chi non l'ha ancora visto ne approfitti.