di Royston Tan
Versione sottotitoli Allzine
Anno: 2005
Nazione: Singapore
Regia: Royston Tan
Sceneggiatura: Royston Tan, Liam Yeo
Musiche originali: Hualampong Riddim
Interpreti: Kim Young Jun, Xiao Li Yuan
Royston Tan è un esile trentenne di Singapore con alle spalle una filmografia non esile. In un decennio ha realizzato una tale mole di cortometraggi e documentari, e soprattutto di una tale qualità, che può vantare (se fosse vanitoso) di aver vinto più di quaranta premi tra nazionali e internazionali, può vantare (sempre se) di essere stato insignito di onorificenze che spaziano da miglior film a miglior artista nazionale all’ASIAN Director of the Year; può vantare (se) di essere stato il primo singaporegno a essere invitato alla Mostra del Cinema di Venezia. Tutte queste cose le può vantare a trentanni, con due lungometraggi due in cascina.
Il primo di questi è stato 15, opera iper-colorata, iper-parlata, iper-cantata, iper-violenta. Un fuoco d’artificio cinematografico con il quale il giovane filmaker seguiva un gruppo di quindicenni ipercinetici. Con questo successivo 4:30, Royston Tan cambia il suo stile, cambiando anche oggetto del suo sguardo.
Xiao Wu (un ottimo Xiao Li-Yuan) è un ragazzino di undici anni abbandonato a se stesso. La madre è perennemente fuori città, e lui è solo in una Singapore desolata. Ha pochi interessi durante il giorno, e la noia la fa da padrona. Ha un interesse durante la notte però. In casa c’è un coinquilino, un trentenne coreano di nome Jung (Kim Young-Jun). Ogni notte, alle 4:30 precise, Xiao Wu si sveglia e va a curiosare nella camera dell’uomo. Durante le prime incursioni cerca di studiarlo, ad esempio cercando di capire dalle bacchette lasciate su un piatto vuoto cosa abbia mangiato. Poi le azioni notturne del ragazzino diventano sempre più intrepide, come farsi una foto accanto a lui mentre dorme. Inoltre inizia a cercare di aiutarlo. Jung è in crisi dopo una delusione d’amore, si ubriaca di continuo e tenta un paio di volte il suicidio. Xiao Wu, che ha assistito a un tentativo, comincia a prendersi cura della sua salute, gli prepara l’aranciata, gli compra gli spaghetti, gli taglia le sigarette a metà e incolla a mò di monito una piccola foto dell’uomo vicino la scritta del pacchetto "nuoce alla salute". Il film si concentra dunque su queste due anime sole, la più giovane della quale cerca di creare un contatto con la più ferita.
Il punto di vista sulla storia è quello di Xiao Wu. Apparentemente mansueto, Xiao Wu è in realtà un ragazzino dinamico e birichino. Lo testimonia lo scherzo che fa tutti i giorni (e sempre diverso) ai signori che in un parco fanno tai chi chuan; lo si capisce da come importuna una compagna di classe (come la vede si toglie una scarpa, gliela tira fulmineo e poi scoppia a ridere); da come guarda dall’alto in basso, con sicurezza, con sfrontatezza quasi, una classe che gli cammina a fianco mentre è in punizione, fermo fuori dalla porta della classe; lo si capisce da come chiude in faccia il telefono alla madre quando capisce da una sua parola che la donna non tornerà a casa ancora per un po’, e l’attende dunque altra solitudine. Dunque è un ragazzino dalla personalità forte. Uno di quei ragazzi vitali e pestiferi (pericolosi) che in 15 Tan aveva descritto con uno stile altrettanto vitale. Xiao Wu però è un ragazzino vitale che sta perdendo la sua vitalità, si sta chiudendo in se stesso. E’ un ragazzino pieno di energia che però pian piano quest’energia la sta perdendo. E dirotta quella che gli rimane verso le sue avventure notturne (in cerca d’affetto?). Ma la mancanza di sonno lo portano a indebolirsi sempre di più. Ad un rallentamento emotivo di Xiao Wu, accompagnato dal suo rallentamento fisico, dovuto al non dormire, corrisponde un rallentamento dello stile di Tan. In 15 c’era un ragazzino che voleva suicidarsi, dunque era crollato psicologicamente. La sua parabola depressiva però si manifestava nella violenza, verso gli altri e verso se stesso. Dunque era un ragazzino che stava, si potrebbe dire, "esplodendo". Ed ecco lo stile esplosivo di Tan nel raccontarne la "passione". Xiao Wu invece sta "implodendo". Ed ecco lo stile raccolto di Tan in 4:30. Un film che sembra chiudersi in se stesso, come il suo protagonista. 15 era invece pieno di inquadrature d’esterni. 4:30 inizia con un’inquadratura d’interno; si concentra su pochi rappresentativi posti (camera da letto di Wu; classe); finisce con un’inquadratura d’interni. 15 era pieno di parole, sembrava un film-rap. In 4:30 c’è una quasi totale assenza di dialoghi. Royston Tan usa quindi le immagini per narrare, prediligendo inquadrature fisse e lunghe.
In 15 lo stile ipercinetico serviva a descrivere delle anime ipercinetiche. In 4:30 lo stile rallentato, rarefatto, serve a descrivere un’anima rallentata.
L’ultima scena del film, nella sua semplicità, sembra riassumere lo spirito di tutta l’opera. Xiao Wu ha cercato di creare un contatto con Jung, ha cercato di aprirsi ma inutilmente, l’uomo è andato via. Il ragazzino allora decide di chiudersi in maniera ancora più estrema. Decide infatti di congelare il tempo in un momento della giornata, le 4:30 appunto. In un finale placido quanto potente, Xiao Wu è solo in casa; porta indietro le lancette dell’orologio alle ore 4:30; le blocca con lo scotch; infine, inizia lentamente, con calma, a verniciare di nero le tapparelle di casa. Le tapparelle sono quasi trasparenti, fanno filtrare un po’di luce. Xiao Wu vuole il buio. Vuole perennemente le 4:30. Royston Tan non solo è in grado di affascinare e divertire l’occhio (15 è un gioco di prestigio visivo), ma è soprattutto un micidiale narratore: ha trentanni, ha fatto solo due lungometraggi, ma con una precisione da chirurgo ha sempe saputo scegliere lo stile più appropriato per raccontare la sua storia. Dominare la forma a tal punto da manipolarla in funzione del contenuto è prerogativa solo dei grandi narratori. (Rudy Rigutto, cinemavvenire.it)
Un regista davvero interessantissimo (chissà se vedremo mai il suo 15 da queste parti, se non sbaglio Lexes disse che era improponibile la traduzione per via delle canzoni), che sforna un piccolo gioiellino, a metà strada tra WKW e KKD, un film molto poco parlato, ma non fatto di silenzi. Un altro sfiorarsi di due esistenze, tema tanto caro al cinema asiatico (mi viene in mente After this, anche se lì c'è anche uno scontro), anche qui sviluppato con sensibilità ed attenzione. Ah, questo film ha vinto l'edizione 2006 dell'Asian film festival qui a Roma. Consigliatissimo (anche tu paolò, che non ami i film con i marmocchi, gli potresti dare una chance)
Messaggio modificato da fabiojappo il 17 October 2014 - 08:54 PM