Rent a cat
Regia: Naoko Ogigami
Giappone, 2012
Ne hai visto uno, li hai visti tutti: questo è lo slogan con il quale si potrebbe liquidare in pochissime parole l'ultimo lavoro della giapponese Naoko Ogigami.
Armato della consueta tendenza recondita al masochismo che anima segretamente la mente dell'appassionato di Cinema, sperando però , altrettanto furtivamente, che la sorpresa possa appalesarsi come il classico fulmine al ciel sereno, la visione di Rent a cat non fa altro che confermare che al peggio non c'è mai fine.Se in Megane era il "crepuscolare", se in Kamome diner erano le chiacchiere senza alcuna sostanza, in Renta a cat il centro dell'universo cinematografico è "tappare i buchi", quelli dell'anima naturalmente che è lo slogan col quale la protagonista cerca di vendere a noleggio i suoi gatti (belli e simpatici, l'unica cosa che meriti del film).
Ed ecco allora la solita parata di personaggi che spuntano come funghi e scompaiono senza che si capisce nulla della loro esistenza: una anziana donna che affitta il gatto per sostituire negli affetti quello suo appena morto, ma che poco dopo, si presume, tira le cuoia anche lei; un uomo che vive lontano dalla famiglia, una specie di reietto, che vorrebbe ritrovare l'affetto dei suoi cari; una alienata che lavora in un autonoleggio, inebetita e alla ricerca di non si sa bene cosa; un ragazzotto malandrino che sembra essere sul punto di tappare il buco della protagonista; dei ragazzini che , come l'uomo col gatto di Kamome diner, immancabilmente compaiono mentre la ragazza percorre sotto il sole il lungofiume col carrettino che contiene i gatti, richiamando gli avventori con un megafono.
Se in Megane c'era la bianca spiaggia e in Kamome diner qualche piatto che poteva stuzzicare l'appetito, qui, a parte i gatti, non c'è nulla, risultando il film ancora più piatto e privo di qualsiasi interesse.
Chiaro che per chi è in sintonia con la concezione esistenziale e cinematografica della regista potrà trovare il film bello; per chi questa sintonia non l'ha, anche perchè ammantata di oscurità impenetrabile, non potrà che provare lo stesso fastidio e noia che hanno procurato i precedenti lavori della regista nipponica.
Quello che più stupisce è che , in favore di un film che vorrebbe divenire con il passare dei fotogrammi raccontando l'attimo, la narrazione è priva di ogni riferimento personale, i personaggi sono delle monadi che vagano sullo schermo alla ricerca non si capisce bene di cosa e , soprattutto, a proiezione conclusa, si ha l'impressione di avere assistito ad un frammento di 10 minuti che mediante un loop cinematografico infernale , ripete se stesso all'infinito.
Tre indizi fanno una prova, diceva qualcuno, motivo per cui debbo conclude che il sottoscritto non ha alcuna sintonia con la regista.