Girato frettolosamente (in un periodo in cui Wakamatsu firmava tre-quattro film all'anno), piuttosto che con pochi yen: in alcune scene si intravedono le ombre degli operatori delle luci.
A parte il pelo nell'uovo, funziona comunque: mescola a briglia sciolta eros e thanatos, combinando due ossessioni del regista (l'orrore per la nascita, che si traduce in infelicità e quindi in conflitto con la società, e l'assillo della sessualità), in un ritratto di una gioventù nichilista, annoiata, 'vuota', che prova sentimenti a modo suo, ma che cerca l'abbraccio della morte per sentirsi viva. Troppo compiaciuto nella sua morbosità, ma interessante per la sua lezione formale iconoclasta.
Un grazie a battle.