THE EXCHANGE
Titolo originale: Hahithalfut
Nazione: Israele
Anno: 2011
Genere: Drama
Durata: 94 Min.
Regia: Eran Kolirin
Cast:
Rotem Keinan, Sharon Tal and Dov Navon
Traduzione: alakirti
Revisione: Shimamura
IMDb: 6.3/10 from 97 users (1 win & 10 nominations)
Trama
Un uomo torna a casa in un orario in cui di solito è via, un orario in cui la luce è diversa e in cui si sente solo il rumore del frigo. A quell'ora del giorno così insolita, gli sembra di essere capitato nella casa di uno sconosciuto, vuota, silenziosa e desolata. A quel punto inizia a vedere cose che non aveva mai notato, quasi come se fosse un turista in casa sua: polvere che danza nei raggi di luce bianchi, sua moglie addormentata nel loro letto. L'uomo inizia ad osservare la sua vita in una nuova prospettiva, senza essere del tutto certo che questa sia davvero la sua vita.
Recensione
Quando Sigmund Freud scrisse Das Unheimliche, cioè uno dei saggi più celebrati del suo percorso ricerca, probabilmente non immaginava che sarebbe stato oggetto di ripetute attenzioni da parte del Cinema. Quella forma di grande intrattenimento popolare che nell’anno della pubblicazione del saggio (il 1919) non veniva nemmeno riconosciuta come arte, ma che condivideva con la “sua” psicanalisi l’anno di nascita. Non poteva immaginarlo perché non pensava che due fenomeni apparentemente così distanti in realtà fossero l’espressione della medesima Rivoluzione: quella dello sguardo. È con l’ausilio del Cinema e della Psicanalisi infatti, che l’uomo novecentesco si distanzia radicalmente da quello del secolo precedente. Proprio perché inizia a guardare in un altro modo: osservando se stesso da fuori (con il primo) e scrutandosi dentro (con la seconda).
Esattamente come quello dell’uomo novecentesco, anche l’itinerario di Oded, il dottore di ricerca in Fisica dell’Università di Tel Aviv protagonista di Hahithalfut (The Exchange), allo stesso modo: guardando le cose diversamente. Tanto che si può interpretare il suo percorso come una grande metafora di quello intrapreso dall’Uomo moderno, pronto a mutare il rapporto con la realtà che lo circonda proprio in virtù di uno sguardo differente. Il percorso di Oded infatti, inizia proprio quando, tornando a casa in un orario inusuale, si trova costretto a osservare gli oggetti del proprio quotidiano, oggetti familiari dunque, sotto una diversa luce. Facendoli sembrare diversi, appunto. È proprio questa irruzione del perturbante – definizione del “non noto, non familiare” (Unheimlich) che Freud deriva dalla stessa etimologia di casa (in tedesco: Heim), cioè luogo della familiarità – a sconvolgere la vita del ricercatore. Il quale progressivamente inizia a comportarsi stranamente, a modificare le proprie abitudini, i propri rapporti, le proprie relazioni. Un percorso a tappe in cui dall’osservazione degli oggetti, passa a quella di se stesso in luoghi non abituali (ad esempio denudandosi davanti allo specchio del pianerottolo condominiale) e poi a quella delle persone che lo circondano, a cominciare da Tami, sua moglie.
La ricerca di punti di vista inconsueti porta inevitabilmente a traiettorie nuove: emblematica in tal senso è la sequenza in cui, nel cortile del palazzo in cui vivono i due giovani coniugi, Tami passa accanto a Oded senza accorgersi della sua presenza, solo perché lui occupa una posizione non abituale in un orario non abituale, visto che a quell’ora si dovrebbe trovare all’Università. Ben presto a lui si unisce un vicino di casa (Yoav), con il quale inizia a sperimentare un diverso modo di rapportarsi allo spazio che li circonda. I due si mettono a urlare agli appartamenti vuoti, oppure si nascondono nel rifugio antiatomico alla ricerca di nuovi punti di osservazione. Grazie a Yoav, il ricercatore prende coscienza della forza dello sguardo, della sua capacità di “ferire” (come evidenzia una battuta della moglie di Yoav, ignara del fatto che Oded sia stato mandato nel suo ufficio dal marito, che lo anche informato della “debolezza” della donna). Tappa che prelude a un ulteriore cambiamento, quello che coincide con la presa di distanza dalla realtà, della pura osservazione. Un distacco favorito da uno sguardo privo di empatia, attraverso il quale la realtà viene semplicemente osservata, senza intervenirvi. Neppure quando il padre di Yoav, i movimenti del quale sono seguiti a distanza da una panchina dai due vicini complici, ha un infarto e cade a terra. La rottura di questo progressivo percorso di astrazione avviene quando la moglie di Oded, incuriosita dal mutato comportamento del marito, inizia a seguirlo. Anch’essa dunque inizia a osservarlo da lontano, generando di conseguenza un ribaltamento del punto di vista che inevitabilmente porta a modificare il rapporto creato dal compagno con la realtà. A questo punto a Oded non resta che compiere l’ultima tappa. Prendendo il solito autobus che ogni mattina lo porta all’Università decide di non scendere alla solita fermata, di proseguire oltre. Arriva al capolinea e si trova di fronte il mare, sulla battigia due uomini che giocano a racchettoni. Quando la pallina scagliata da uno di questi gli finisce accanto al piede, Oded capisce che il suo percorso contemplativo è giunto alla fine. Si china, raccoglie la pallina e la rilancia. Decidendo così di intervenire nuovamente nella realtà. Un finale che sembra il ribaltamento di Blow-up. Non a caso Antonioni (l’ombra del quale sembra aleggiare per tutto il film), non a caso un altro film sullo sguardo e sulla (im)potenza.
(Francesco Crispino - Venezia, 10-09-2011)
BUONA VISIONE!
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Messaggio modificato da Shimamura il 05 August 2013 - 02:20 PM