[RECE][SUB] Khadak
Darkou 06 Jul 2015
Khadak
Titolo: Khadak
Nazione: Belgio, Germania
Lingua: Mongolo
Anno: 2006
Genere: Drammatico
Durata: 104'
Regia: Peter Brosens, Jessica Woodworth
Cast: Batzul Khayankhyarvaa, Tsetsegee Byamba, Banzar Damchaa, Tserendarizav Dashnyam, Dugarsuren Dagvadorj, Uuriintuya Enkhtaivan
Trama: Il film prende parte nelle steppe della Mongolia in inverno verso la fine del 20° secolo. Conosceremo le vicende di Bagi, un mandriano nomade, durante il raggiungimento della maggior'età e la rilocazione forzata del suo popolo. Bagi soffre di attacchi epilettici che gli causano visioni extra-corporali...
Commento: Ad essere sincero non ricordo molto di questo film.. l'avrò visto una volta, quasi un anno fa. Mi ricordo però che non è stato molto facile per me finire la visione, c'erano dei momenti che non avevo propriamente capito o forse sono solo io che mi faccio sempre troppe domande. Comunque rimane un film che consiglio, se non per la trama in se, per vedere come i clan mongoli si sono dovuti adattare all'implacabile arrivo della tecnologia.
SOTTOTITOLI
(Versione: drS)
Khadak.2006.AsianWorld.zip (8.71K)
Numero di downloads: 52
Traduzione: Darkou
Revisione: Shimamura
Messaggio modificato da Darkou il 06 July 2015 - 08:08 PM
Iloveasia 25 Jul 2015
Darkou 25 Jul 2015
Alakirti 12 Aug 2015
Oltre a questo Il Colore dell'Acqua evidenzia aspetti politici post-sovietici, lo sfruttamento minorile minerario, la delocalizzazioni dei nomadi, la diffusione delle epidemie, la desertificazione...
Con Michel Schöpping (The Third Ear...)
come Sound Designer & Music Supervisor alcune chicche:
- Il Naraa’s Poem basato sul poema di B. Galsansukh
- Concerto for two violins in D minor BWW 1043 di J.S.Bach
- Arches e Symphonie de L'espor del compositore belga di nuova consonanza Dominique Lawalree.
- La folk rock band Altan Urag e Christian Fennesz...
Messaggio modificato da Alakirti il 12 August 2015 - 07:17 PM
Iloveasia 30 Jan 2017
Vorrei richiamare l’attenzione su questo magnifico film ambientato in Mongolia. Trascrivo la recensione di Benédicte Prot su Cineuropa: non saprei dire di meglio.
“Come sottolineato da film recenti, il destino della Mongolia è spesso associato a quello dei suoi animali. In Khadak di Jessica Woodworth e Peter Brosens, un’epidemia creata in laboratorio infetta il bestiame, permettendo alle compagnie minerarie di strappare i nomadi alle loro tradizioni e metterli a lavorare nelle miniere.
Tutto ciò che rimane del passato viene descritto dal fantasma di un nonno, interiorizzato da un giovane personaggio, Bagi, come suo 'dono'– come se, e scena della guarigione sciamanica lo rivela, la steppa fosse ora 'in mezzo' – ma anche dal film stesso, soffuso di un’atmosfera fiabesca sin dall’inizio, quando la voce della madre dice "c’era una volta"– un tempo senza peccati in cui ognuno aveva la sua mela.
Khadak ci porta a vedere attraverso le lenti l’universo etereo nel quale lo sciamanesimo sembra l’unica via di fuga da questo mondo innaturale e moderno, in cui tutto e tutti devono essere 'rivestiti'. Per questa ragione Bagi vaga di istituto in istituto, dalla cava alla prigione, passando per l’ospedale.
Qualcosa non va, grida continuamente uno dei personaggi, la speranza è andata via, ('Nulla ha più un significato qui') e ciò che resta si strugge per la morte, e l’epifania, e questa è la ragione per cui Bagi, alla fine, si rassegna al suo destino e accetta, attraverso la morte, la transsustanzializzazione che gli permette di tornare a sperare. E, mentre l’eroe fa questo regalo agli altri, all’improvviso la sceneggiatura, come un prisma (che sovrappone molteplici tempi e molteplici realtà, o, piuttosto, molteplici visioni della realtà), s’interrompe e si risolve in una sinfonia onirica di movimenti e di colori.
Nonostante l’apparente tristezza, non soltanto lo humour nero del nonno ma anche il trattamento del plot, poetico ed estetico, danno l’impressione che ogni cosa sia, invero, illuminata. E, alla fine del film, il ricordo della bella fotografia continua a vivere in noi, dall’immagine del cavallo morto nella stalla a Bagi che piange su un mucchio di carbone, a rappresentare ciò che resta di un mondo ormai estinto, simile ai tableaux vivants di Canaletto e alle sciarpe blu mongole ('khadak') che, come talismani, danzano nel vento.”
Bénedcite Prot, Cineuropa (Tradotto dal francese)