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[RECE][SUB] Invisible Waves

Traduzione di Akira

42 risposte a questa discussione

#37 koroshiya 1

    Direttore della fotografia

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Inviato 18 September 2007 - 07:28 PM

Visualizza Messaggiokunihiko, il Sep 18 2007, 03:33 PM, ha scritto:

Ti aspetto per la stesura a quattro mani di
"GUIDA UTILE PER COME AFFRONTARE IL FINALE DI INVISIBLE WAVES"
:em16: :em16: :em28:
suntoryzzato dal reverendo siwo il 24\9\2007 e Ufficializzato™ il 10\12\2007
sniapa™ addicted n°4
n°1 fan of agitator - the best miike ever

...quando vivi nella paura arrivi al punto che vorresti essere morto...

#38 Nausicaa

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Inviato 21 April 2008 - 04:20 PM

Visualizza Messaggiopaolone_fr, il Jul 13 2007, 11:31 AM, ha scritto:

...esperienza che consiglio a tutti, davvero labirintica [...]
...il film ha un principio alquanto affascinante, e si svolge con un magnetismo straniante per buona parte della trama (straordinaria la sezione del racconto che si svolge sulla nave). Tra riferimenti filmici più o meno azzeccati (Lynch, il Kubrick di Shining...REDRUM, il latte di Leon...), Invisible Waves crea un'atmosfera di tensione tra il malato e il magico, che Asano trasmette bene con quel fare perennemente impacciato di chi ha un animo che non si adatta al proprio corpo...
(secondo me, leggendaria la scena del barista sulla nave...) [...]
...ottimo come sempre il lavoro di Doyle...

Visualizza Messaggiotisbor, il Aug 8 2007, 03:53 AM, ha scritto:

Mi è piaciuto molto !
Asano è sempre più figo , Phuket fa schifo , il tipo maniaco di karaoke è il mio mafioso preferito , cucinare è bello .
Asano che si perde di continuo ed è totalmente inadatto a stare da qualsiasi parte , non so perchè ma mi ha fatto venire in mente il signor Hulot .

Visualizza Messaggionickmattel, il Aug 22 2007, 12:29 PM, ha scritto:

Manieristico, arzigogolato, elucubrato e Vuoto di Ratanaruang. Della sua metafisica esistenziale dell'isolamento, del tirarsi fuori dal mondo. Del romitorio Asano [...]. Ipnotico, come il vuoto.

Ecco il film mi ha lasciato un po' così :em67: , a metà tra le considerazioni di paolone e tisbor da una parte e quelle di nickmattel dall'altra.
La rete del ragno mentre si tesseva e intessuta l'ho osservata, compreso il finale, ma è sfilacciandola che non mi convince del tutto...
Comunque musica e Asano-Hulot goffo e disorientamento, straniamento, magnetismo e labirinto e tensione e Doyle e scene memorabili, sì. Ma ...?
Grazie Akira :em67:

Messaggio modificato da Nausicaa il 21 April 2008 - 04:23 PM


#39 kunihiko

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Inviato 22 April 2008 - 02:05 PM

Visualizza MessaggioNausicaa, il Apr 21 2008, 05:20 PM, ha scritto:


La rete del ragno mentre si tesseva e intessuta l'ho osservata, compreso il finale, ma è sfilacciandola che non mi convince del tutto...



Secondo me, un pregio del film è la sua apparente inorganicità, ti faccio un accostamento azzardato, che non c'entra molto, ma forse aiuta a esplicare il mio punto di vista. Prendiamo le diverse parti del film, e concepiamole come monadi, cioè unità. Ognuna delle quali, ha un suo significato preciso, che se ricordi, secondo Leibniz, per dirla molto breve, essendo di per se già completa, perché forma molto semplice, la monade era autosufficiente. Ma poteva modificare il suo stesso io, solo tramite fattori interni, ma questo non c'interessa. Ora, quello che Ratanaruang, cerca di fare, e di mostrare singoli episodi, uniti in seguito da un filo conduttore, che poi ha una sua logica nell'insieme. Che si può osservare da ottiche differenti. Ma queste mondadi/sequenze, che spesso, esistono, e sembrano essere indipendenti dalla struttura complessiva, arricchiscono enormemente la psicologia di alcuni personaggi. Infatti le stesse sequenze, vivono di vita propria, e non sembrano modificate dall'esterno, ma da avvenimenti interni, alle sequenze stesse. (Che poi si rivelano tutte figlie di un grande disegno) Pensa al viaggio di Asano sulla nave, fino a Pucket, si direbbe quasi un altro film. Come lo stesso soggiorno nella città, non ha un corpo unico, ma frammenti composti.
Ogni singolo frammento, aumenta la consistenza psicologica del protagonista, che all'inzio è disegnato come un uomo, distaccato, che rasenta l'apatia, la quale in realtà si dimostra essere una manifestazione, della rassegnazione che alberga in lui, nata dal senso di colpa.
Via via che il tempo scorre, ci si trova di fronte a un uomo in contrasto con il suo aspetto, goffo e algido, per entrare in un mondo interiore, complesso e devastato, dove l'unica ragion d'essere è trovare delle risposte, alla costruzione del labirinto forgiato dal suo capo.
Se cominci a guardare una singola sequenza, evitando la fine , ti accorgi, che non è necessario ordinarle, proprio perché l'effetto è volutamente ondivago, si astiene da una linearità
La fine, è l'unico punto di riferimento, in cui si forgia il risultato finale, e le singole sequenze, girate in precedenza acquistano un significato diverso, e ingigantiscono il valore dell'opera.
”I confini della mia lingua sono i confini del mio universo.” Ludwig Wittgenstein.

n°0 fan of agitator - the best miike ever /Fondatore del Comitato per la promozione e il sostegno del capolavoro di Fruit Chan: MADE IN HONG KONG

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Inviato 22 April 2008 - 11:02 PM

Questo film di Ratanaruang mi ha lasciato abbastanza titubante, come se fossi di fronte ad un'opera-ossimoro di cui fatico a comprendere il senso: da una parte ricama una trama che parte come una sorta di thriller e finisce come una specie di noir, attraverso un intreccio ricco di dettagli insoluti che si propongono di mantenere desta l'attenzione fino alla fine, dall'altra non si preoccupa di fornire il giusto supporto formale alla natura del racconto, compiacendosi di una messa in scena estetizzante (non a caso c'è lo zampino di San Christopher Doyle alla fotografia) e soprattutto raggelante, che scava introspettivamente nell'instabilità del protagonista ma annulla qualsiasi tensione narrativa, quasi come se volesse disattendere le aspettative dello spettatore. Ne scaturisce un attrito che trascina il film in un limbo di incompiutezza. Forse perché molto di quello che rivela non è sempre funzionale alla storia e ai personaggi.
Cos'è Invisible Waves? E' un esperimento? E' un modo di coniugare due anime del cinema (quella autoriale e quella di genere)? E' tutto fumo e niente arrosto? Difficile rispondere. Certo è che il film risulta eccessivamente insapore, anche se si dimostra affascinante in più punti, grazie in particolare alle atmosfere perturbanti (alla Lynch, come alcuni hanno già scritto) che costruisce dal principio alla fine.
Il finale (aperto?) è un po' inconcludente e contradditorio, a mio avviso.
Sottotitoli per AsianWorld: The Most Distant Course (di Lin Jing-jie, 2007) - The Time to Live and the Time to Die (di Hou Hsiao-hsien, 1985) - The Valiant Ones (di King Hu, 1975) - The Mourning Forest (di Naomi Kawase, 2007) - Loving You (di Johnnie To, 1995) - Tokyo Sonata (di Kiyoshi Kurosawa, 2008) - Nanayo (di Naomi Kawase, 2008)

#41 Nausicaa

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Inviato 27 April 2008 - 10:15 PM

Visualizza Messaggiokunihiko, il Apr 22 2008, 03:05 PM, ha scritto:

Secondo me, un pregio del film è la sua apparente inorganicità, ti faccio un accostamento azzardato, che non c'entra molto, ma forse aiuta a esplicare il mio punto di vista. Prendiamo le diverse parti del film, e concepiamole come monadi, cioè unità. Ognuna delle quali, ha un suo significato preciso, che se ricordi, secondo Leibniz, per dirla molto breve, essendo di per se già completa, perché forma molto semplice, la monade era autosufficiente. Ma poteva modificare il suo stesso io, solo tramite fattori interni, ma questo non c'interessa. Ora, quello che Ratanaruang, cerca di fare, e di mostrare singoli episodi, uniti in seguito da un filo conduttore, che poi ha una sua logica nell'insieme. Che si può osservare da ottiche differenti. Ma queste mondadi/sequenze, che spesso, esistono, e sembrano essere indipendenti dalla struttura complessiva, arricchiscono enormemente la psicologia di alcuni personaggi. Infatti le stesse sequenze, vivono di vita propria, e non sembrano modificate dall'esterno, ma da avvenimenti interni, alle sequenze stesse. (Che poi si rivelano tutte figlie di un grande disegno) Pensa al viaggio di Asano sulla nave, fino a Pucket, si direbbe quasi un altro film. Come lo stesso soggiorno nella città, non ha un corpo unico, ma frammenti composti.
Ogni singolo frammento, aumenta la consistenza psicologica del protagonista, che all'inzio è disegnato come un uomo, distaccato, che rasenta l'apatia, la quale in realtà si dimostra essere una manifestazione, della rassegnazione che alberga in lui, nata dal senso di colpa.
Via via che il tempo scorre, ci si trova di fronte a un uomo in contrasto con il suo aspetto, goffo e algido, per entrare in un mondo interiore, complesso e devastato, dove l'unica ragion d'essere è trovare delle risposte, alla costruzione del labirinto forgiato dal suo capo.
Se cominci a guardare una singola sequenza, evitando la fine , ti accorgi, che non è necessario ordinarle, proprio perché l'effetto è volutamente ondivago, si astiene da una linearità
La fine, è l'unico punto di riferimento, in cui si forgia il risultato finale, e le singole sequenze, girate in precedenza acquistano un significato diverso, e ingigantiscono il valore dell'opera.

:em41:



Hai ragione kuni, c'è un'architettura articolata e notevole, ogni segmento riconoscibile per una sua conchiutezza. Tra le possibili, fase iniziale del fantasma, viaggio in nave e straniamento e incontro di Noi, viaggio a Phuket, progressivo svelamento e precipitare della tensione che era sin dall'inizio sottesa, scardinamento (mi ricorda la chiave nella scatola di Mulholland drive), ritorno del fantasma per regolare i conti, riconoscimento della propria esistenza di fantasma, abbandono dei giochi. Numerosi richiami interni e costruzione magistrale del doppio dei personaggi.
Largo movimento introspettivo. Lui è un fantasma, sin dall'inizio, non di questo mondo, a cui si ostina a rimanere attaccato, i contatti che non desidera, quelli casuali, disadattamento, il gioco del contrappeso mostrato dal barista, ombra che cerca vanamente di avere quel contatto con l'altro, l'incontro con Noi (non appare anche lei come un fantasma?). Una metafora di disadattamento, solitudine e incomunicabilità (tra i diversi simboli, quegli incontri sulla nave, la differente lingua e cultura, la desolata Phuket, la cartolina mai spedita a causa dell'assenza di francobollo). L'incontro con Noi, che sembra creare un'apertura, sarà invece altro. Apertura sì, così come l'incontro finale col capo, ma apertura verso la morte non verso la vita, ed è un movimento verso qualcosa che era sin dall'inizio (il suo esser morto, la sua morte decisa). E me ne faccio poco, così, di questo formale riappacificamento con la vita: "Avresti potuto ucciderlo stasera – Sì, facilmente - Perché non l'hai fatto? - Aveva l'aria felice, molto felice, chi merita più di vivere, l'uomo felice o il fantasma errante?".
Che può significare: sì, ero un fantasma sin dall'inizio, "Non sarò mai più felice", ho cercato di vivere lo stesso, ho lottato, cercato, ma lo sono, alla fine: non sarò mai più felice, sono morto, l'altro è ancora vivo e felice, forse questa è l'unica cosa che conta ed è giusto che me ne vada, è tutto come deve essere, ne esco, dal labirinto.
Mi irrita, soprattutto per l'ampia messa in scena scelta per dirmelo, i tempi imposti, pur nella riuscita perfettamente straniante, che segue i lenti movimenti interni del protagonista, la sua progressiva presa di coscienza, come se fosse su un nastro di Moebius, la morte all'inizio e alla fine, torsione nell'accettazione. Divertenti gli eccessi del mafioso e di Asano :em41:

#42 kunihiko

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Inviato 28 April 2008 - 10:37 AM

@Nausicaa: Hai centrato l'analisi perfettamente. :em41:
”I confini della mia lingua sono i confini del mio universo.” Ludwig Wittgenstein.

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#43 BadGuy

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Inviato 23 January 2010 - 11:18 PM

Onde inesistenti, non invisibili. Calma piatta. Il regista sembra non sapere dove andare a parare o forse lo sa benissimo e si compiace di allestire scenari di inadeguatezza dell'essere e disagio del vivere che compone dentro paesaggi e stanze ostili dalle finestre rigorosamente finte e che infila in una storia mezza thriller, mezza noir, mezza gangster, mezza surrealgrottesca... Anche ghost. Ma sempre mezza. Ratanaruang allunga il brodo invece di sparare, proprio come Asano Tadanobu (spaesato dentro un ruolo che la sceneggiatura non riesce a definirgli) in una delle scene clou (beh, 'clou' si fa per dire...) del film. Gli interessa lo sfondo, non i personaggi che lo attraversano. Li lascia galleggiare. Alla deriva. E così si sguazza in un immobilismo fastidioso.





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