[CINEMA] Film in sala

Ratatouille di Brad Bird, Jan Pinkava.

‘Per molti versi la professione del critico è facile. Rischiamo molto poco pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio. Prosperiamo grazie alle recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà cui ci dobbiamo rassegnare è che nel Grande Disegno delle Cose anche l’opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero. Ad esempio nello scoprire e difendere il Nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni. Al Nuovo servono sostenitori…’ (Anton Ego)

E che c’è di Nuovo, direte voi, in una megaproduzione targata Pixar? Un po’ di animali, oggetti, mostri parlanti. Un po’ di ammiccamenti al pubblico adulto, citazioni cinefile, qualche battuta di grana un po’ grossa, tanto software sofisticato, buoni sentimenti, lieto fine.
In ‘Ratatouille’ c’è qualcosa di meno, questa volta.
Non si vuole blandire ‘anche’ il pubblico adulto, non ci si affida alle ‘puzzette’ per strappare la risata generale, la tecnologia si compiace meno di se stessa.
Questa volta il film d’animazione esce dai propri confini e invade quelli della commedia, uno dei generi in cui la cinematografia americana ha prodotto capolavori, da Capra a Wilder e in cui, ancora oggi, nel declino inarrestabile di Hollywood, qualche scintilla, magari a lato, riesce ancora ad emergere (Gondry\Kaufman, ad esempio).
La storia è, ovviamente, surreale. Cosa c’è di meno ‘plausibile’ di un ratto col ‘genio’ della ‘haute cuisine’? Eppure, dopo pochi minuti, dimentichiamo di trovarci di fronte a un animale parlante, a un disegno. Le aspirazioni, i sogni, la simpatia, l’espressività, la fragilità ‘umana’ di questo personaggio ci conquistano. Ci immedesimiamo. E anche se ‘squittiamo’ e nessuno ci capisce e siamo abitualmente repellenti, a volte, inseguendo i nostri sogni, con tenacia e un po’ di fortuna, il nostro talento può imporsi e sovvertire anche le rigide regole delle gerarchie ‘naturali’.
Ci crediamo, come ‘crediamo’ all’angelo che per conquistarsi le ali deve salvare James Stewart
Ci crediamo perché i personaggi, la storia ci convincono. Perché quel topino muto nel barattolo di vetro, che risponde a gesti, è più ‘vero’ del miglior attore degli epigoni di scuola Stanislavskij.
E alla fine, estasiati anche dai vertiginosi ‘movimenti di macchina’ ad altezza topo e dalla magia di quel pelo bagnato digitale, non possiamo, come il feroce critico Anton Ego, che arrenderci e ringraziare.
Ringraziare questi artigiani del disegno e dei numeri che sono riusciti ad imporre la propria visione di cinema pur sfruttando i canali rassicuranti del genere e che hanno aperto un varco importante verso altri orizzonti non limitati dalle aride equazioni finanziarie della produzione ma solo dalla loro immaginazione e creatività.

Un unico neo. Il punto nel simbolo yin-yang. Un sospetto che è quasi certezza.
La durata.
Tutti i blockbuster durano ormai almeno 2 ore. Sospetto ci sia dietro un serio studio sui tempi di digestione medi e insorgenza degli stimoli di fame e sete. Ossia: come vendere più esosi pop corn e orride bevande gassate.
Perché allungare questo bel film (già forse un po' lungo di suo) con i trailer delle prossime produzioni Pixar all'interno del film stesso (e non come 'intrattenimento')?
Piccolo prezzo da pagare agli squali della produzione?

Perdonati.

Messaggio modificato da Tanaka il 10 November 2007 - 12:30 AM

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