The Sting of Death
(Shi no Toge)
Regia: Kôhei Oguri
Sceneggiatura: Kôhei Oguri, Toshio Shimao
Interpreti: Yuri Chikamori, Ittoku Kishibe, Midori Kiuichi, Takenori Matsumura, Keiko Matsuzaka, Akira Yamanouchi
Fotografia: Shohei Ando
Musica: Toshio Hosokawa
Anno: 1990
Durata: 115
Gran Premio della Giuria e Premio della Critica Internazionale al Festival di Cannes del 1990
PROLOGO (da leggere per contestualizzare gli eventi)
Nel 1944, in piena guerra, Miho e Toshio si conoscono e si amano nel villaggio dove vive Miho e dove Toshio è capitano di un battello suicida. Il giovane ufficiale non ha che la morte per orizzonte e la ragazza decide di uccidersi al termine della missione suicida del suo amato, in segno di fedeltà. A seguito della resa, lordine di partenza non arriverà mai, salvando loro la vita…
TRAMA
Siamo nel 1950. Miho viene a sapere che Toshio ha una relazione con un altra. La donna, il cui amore è assoluto, sopraffatta dalla gelosia, minaccia di uccidersi. Inizia così tra loro un dramma famigliare in cui urla, colluttazioni, interrogatori e spiegazioni, minacce di suicidio reciproche si susseguono senza fine. Miho, poco a poco, scivolerà nella follia dove, per amor suo, il marito laccompagnerà.
COMMENTO (di Ordell Robbie liberamente tradotto dal vostro affezionatissimo)
Film di un cineasta poco prolifico, Shi no Toge è ladattamento di un romanzo di Shimao Toshio, premiato in Giappone, appartenente agli shishosetsu, ossia quella forma di romanzo autobiografico, naturalistico e scritto in prima persona, tipico della letteratura giapponese del primo 900.
Attraverso la crisi della coppia Oguri evoca la sparizione del Giappone prima della guerra e dei suoi valori morbosi di sacrificio. Senonché il film sarebbe ultra-didascalico se i rapporti di coppia non fossero molto più ambigui. Miho, linnocente, vuole vendicarsi di suo marito aspirante scrittore ed egocentrico. Ma nello stesso tempo Toshio si rende anche complice della follia di lei, al punto che la coppia è al tempo stesso assetata di autodistruzione e inseparabile.
Ad eccezione degli attacchi disteria di Miho linterpretazione degli attori è distaccata. Un po come se i personaggi avessero coscienza di mettere in scena la crisi della coppia. Per questi due prodotti del Giappone tradizionale, tale sregolatezza non si può attuare se non accompagnata da una certa teatralità, da un certo cerimoniale tipicamente giapponese. Potremmo, a questo livello, evocare qualche riferimento cinematografico: Oshima per quelle relazioni in cui amore e morte non sono mai troppo lontane e per il gusto del cerimoniale; il Bergman dei film da camera per il quadro della coppia come luogo di crudeltà fisica e psicologica; Cassavettes per il soggetto di una donna che sprofonda nella follia (A Woman Under the Influence) e per il lato isterico del film. Alla fine durata e lavoro sulla fotografia si combinano per dare a questo film una dimensione funebre, fantomatica, a immagine dei personaggi, grigi residui di unepoca passata.
Ma malgrado le sue ambizioni tematiche e di sceneggiatura, malgrado i nomi prestigiosi che vengono evocati durante la visione, il film di Oguri fatica a convincere. Prima di tutto perché niente nel suo messaggio sul Giappone è riferibile ad una dimensione contemporanea. Quando i cineasti degli anni 50 o la Nouvelle Vague abbordavano il tema della sopravvivenza della tradizione nel Giappone del dopoguerra, i loro soggetti erano in sincronia con unepoca, con un contesto storico. Oguri arriva troppo tardi e sembra di unaltra epoca. La composizione delle inquadrature è talmente elaborata al punto di sfociare nel pittorico. Ma a questo carattere pittorico non fa eco alcun elemento tematico del film. Associata alla lentezza precedentemente evocata, essa contribuisce, quindi, a rafforzare lidea di trovarsi di fronte ad una seria di quadri filmati. In più, scegliendo la fedeltà allo stile narrativo frammentato degli shishosetsu, Oguri rende il suo racconto ingarbugliato.
Tematica già trattata dai giganti del cinema mondiale, complessità psicologica, struttura narrativa che strizza locchio alla letteratura , regia elaborata allestremo, Il pungiglione della morte colleziona i segni esteriori del carattere artistico. Ma si può dire che il film avrebbe dovuto preoccuparsi un po più di essere cinema che non dessere arte.
RINGRAZIAMENTI
Di nuovo un grazie per il pre-lavorato allinestricabile Gigi, un uomo che oramai è leggenda.
Lui, ignaro, ha infuso italica linfa ai dialoghi di questo filmettone che, guardatelo e mi direte, non si capisce come possa essere stato premiato (in ex equo cera Tilai, lo Shakespeare africano, non un capolavoro ma almeno sorprendente nella sua naïveté).
Mi pento di avergli affidato questa fatica, fidandomi della giuria di Cannes, anche se sono certo che molti utenti di AW gradiranno.
Ottimo come sonnifero.
Buona notte.
Messaggio modificato da creep il 23 February 2010 - 11:09 AM