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[RECE][SUB] Himalaya, Where the Wind Dwells

Traduzione di yotsuya-san

15 risposte a questa discussione

#10 fabiojappo

    Regista

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Inviato 12 February 2010 - 11:01 AM

Sembra molto interessante. La lista delle cose da vedere si allunga sempre ...

#11 creep

    antiluogocomunista

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Inviato 17 February 2010 - 12:31 PM

Confermo le impressioni che mi diede quando lo vidi la prima volta. Non è ben chiaro lo struggersi Choi, molto simile a quello di Castellitto in La Stella che non c'è. Sicuramente la causa è una condizione esistenziale più che contingente, ma si fatica ad entrare in simbiosi col personaggio.

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#12 BadGuy

    Cameraman

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Inviato 20 February 2010 - 11:31 AM

Proprio per questo mi è piaciuto:

Visualizza Messaggiocreep, il 17 February 2010 - 12:31 PM, ha scritto:

si fatica ad entrare in simbiosi col personaggio.


Visualizza Messaggioyotsuya-san, il 07 February 2010 - 12:05 PM, ha scritto:

...i personaggi principali tornano a soffrire, come prima se non di più, non hanno raggiunto una nuova consapevolezza né sono pronti ad iniziare una nuova vita all'insegna dell'ottimismo. Credo che a Jeon questo non interessi e che preferisca farlo fare ad altri.

Choi rimane qual era quando se ne va e il suo male(ssere) non è inglobato o lenito dal paesaggio circostante, anzi di più: viene proprio respinto fisicamente.

E' lo straniero totale.

Il regista non la fa lunga: è essenziale e conciso, tant'è che la poca trama che c'è bisogna quasi dedurla.

L'Himalaya resta là, imponente, staccato dall'uomo. Chi ci deve fare conti è solo la popolazione locale (ben descritta tra l'altro).



#13 yotsuya-san

    Ciakkista

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Inviato 20 February 2010 - 03:43 PM

Sarà un discorso banale, ma un approccio più materialistico e terreno può anche essere fatto, a proposito di questo film. Choi è disoccupato (nel film viene detto che è "in attesa di trasferimento", non so se questo comporti di fatto l'essere dispensato dallo svolgere qualsiasi attività per l'azienda, ma mettiamo sia questo il caso), e quando si è disoccupati, soli e IN ATTESA, è naturale cercare un modo per riempire il proprio malessere. A mio parere Choi vede in quel viaggio (peraltro piuttosto estremo) non una vacanza, ma un'opportunità di riempire quel vuoto, facendo qualcosa che allo stesso tempo lo tenga impegnato sia fisicamente che soprattutto mentalmente. Non credo sia in viaggio alla ricerca di un'illuminazione, o in una sorta di sfida a se stesso, nè che si sia detto "forse è meglio che mi prenda una vacanza". Non è nemmeno assimilabile, questo suo viaggio, a un lavoro o a un dovere (cose che peraltro non riesce nemmeno a concludere). Forse sembra più un piacere al fratello, come se fosse proprio il fratello a dirgli "Fammi questo favore, e già che ci sei fatto una vacanza". Dubito peraltro che un imprenditore (il fratello di Choi) che assume immigrati clandestini sia una persona di buon cuore e lo faccia mosso da animo caritatevole.
In sostanza Choi se ne va quando sa di essere diventato un peso, per gli altri e per se stesso. Sia dal luogo di partenza, che dal luogo di arrivo.

Effettivamente ne "La stella che non c'era" Castellitto era probabilmente in una situazione simile ma il suo viaggio era mosso da altri intenti. E torna a casa "contento", convinto di aver fatto il suo dovere e di aver fatto bene a farlo. Choi viceversa non riesce a fare ciò per il quale era partito, il suo struggersi secondo me ha la sua ragion d'essere principalmente in quello. E in quelli che han visto nel suo unico sorriso, prima di partire, una sorta di lieto fine, io vedo "soltanto" una reazione emotiva all'unica forma di gratitudine (cosa che peraltro non cercava affatto) dimostrata prima della sua partenza.

#14 kirtan

    PortaCaffé

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Inviato 06 March 2010 - 01:20 AM

non vedo l'ora di vederlo :O


तत्त्वमसि

ricordami come sono infelice lontano dalle tue leggi
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#15 Cignoman

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Inviato 17 January 2011 - 03:13 PM

Banalmente, io ho visto un uomo che sente di aver fallito, di non avere più un ruolo e una posizione (licenziato, divorziato, la figlia e l'ex moglie lontane in USA) a contatto, quasi per caso, con una realtà umana in cui molte convenzioni e realtà del mondo contemporaneo individualista e materialista sono ribaltate.

Un esempio: in Nepal è ammessa e praticata, specialmente nella regione du Humla e Mugu (a Nord), la poliandria: il matrimonio monogamo del protagonista è fallito, sua figlia crescerà senza di lui, per quanto lui sia ancora vivo. All'opposto, il bambino coprotagonista è orfano di un padre, ma ne ha un altro e questo è accettato senza problemi ed ha sicuramente dei risvolti positivi; ciò mostra quanto il modo di vivere "normale" sia convenzionale e spesso assolutamente inadeguato ai reali bisogni della persona.

Il protagonista soffre terribilmente e anche fisicamente il confronto con un modo di vivere che non capisce (la barriera linguistica ma prima di tutto culturale è un abisso) e non puo' capire (ma che a modo suo sembra rispettare), un mondo in cui la morte è accettata come NATURALE, la cura degli anziani e la coesione del villaggio, del clan sono forti, in cui l'ospitalità è sacra, in cui le persone lottano duramente per sopravvivere, ma sempre con dignità.

L'ultima scena credo che possa significare che il protagonista abbia intuito quanto il bambino, l'unico con cui è possibile un minimo di relazione e di comunicazione, sia fortunato (per confronto) ad essere parte di quella realtà semplice, povera, isolata ma più connaturata all'essere umano; ma il protagonista sa bene che è e resterà sempre un estraneo a questa terra dove "il vento dimora libero", libero di soffiare lontano il karma di questa vita. Siamo noi a poter capire davvero qualcosa, non lui, il film è un viaggio fecondo per lo spettatore, probabilmente non per il protagonista.

Messaggio modificato da Cignoman il 17 January 2011 - 03:15 PM

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#16 battleroyale

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Inviato 14 August 2011 - 02:10 PM

Delusione. A fare film meravigliosi con il nulla assoluto sono capaci solo pochi eletti (Tsai Ming-Liang, Lav Diaz e Hou Hsiao-Hsien, in primis). Qui, ci si rifugia nei paesaggi meravigliosi del Nepal per raccontare la storia di un uomo eternamente frustrato, ma dal cuore d'oro.

Sarebbe stato un meraviglioso corto, peccato che il film duri un'ora e quaranta e non racconti nulla, e non parlo a livello di narrazione, perchè i film di Tsai Ming-Liang hanno anche trame molto più flebili, qui si tratta proprio di emozione. Un film emotivamente freddo ed inconsistente, che non si salva in corner neanche con l'eccellente interpretazione del sempre enorme Choi Min-Sik (Old Boy), il cui personaggio è però troppo anonimo, con il quale è difficile l'empatia. Inaspettatamente non è neanche lento (c'è di peggio), eppure una mattonata veramente insostenibile.

E detto da me, che adoro alla follia i film lentissimi e senza dialoghi, è dire tanto. Questo è l'elogio all'immobilismo assoluto.

Bellissima, comunque, la fotografia, così come alcune sequenze. Ma è troppo poco.

Peccato.
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