Wandering Ginza Butterfly
(Gincho wataridori)
Anno: 1971
Durata: 95 min.
Regia: Kazuhiko Yamaguchi
Cast:
Meiko Kaji (Nami)
Tsunehiko Watase(Ryuji)
Akiko Koyama
Koji Nanbara
Traduzione: Meiko Kaji
Trama. Nami esce di prigione prima di aver scontato la condanna a tre anni: una donna ha fatto una petizione per abbreviarne la detenzione. Abile giocatrice di biliardo, Nami torna a Ginza, quartiere di Tokyo, e va a stare dallo zio che possiede una sala da gioco. Diventa “hostess” in una casa di “intrattenimento” e inizia a mandare soldi anonimi alla donna che l'ha aiutata, ma il club sta per essere preso con la forza da una banda yakuza. Lo zio di Nami propone allora al boss una sfida a biliardo: se vincerà Nami, il club rimarrà alla legittima proprietaria, se vincerà lui, anche la sala da biliardo verrà aggiunta al club come pagamento.
Commento di Meiko Kaji (Attenzione! Contiene spoiler)
Primo di due episodi dedicati alla Farfalla di Ginza, una specie di replacement della serie di lungometraggi di grande successo dedicati a La giocatrice della Peonia Scarlatta. L'interprete di quest'ultima, Junko Fuji, si era appena ritirata, per cui la casa di produzione pensò a Meiko Kaji come possibile sostituta in grado di dare origine ad una nuova serie di successo. Le cose, però, non andarono come previsto, tanto che il secondo episodio riprese il personaggio di Nami (La Farfalla di Ginza, Meiko Kaji) molto liberamente, e addirittura sostituì l'interprete di Riuji (un perfetto Tsunehiko Watase) con Sonny Chiba.
Girando un po' per il web, ho notato che questo primo episodio viene trattato piuttosto male, gli si rimprovera soprattutto l'incapacità di tenere desta l'attenzione a causa della mancanza di battaglie sparse per la sua durata come il genere di film lasciava presagire (e dire che il regista Kazuhiko Yamaguchi aveva sempre come fine di non far addormentare il pubblico!). A mio avviso, questo capitolo è di gran lunga superiore al secondo (a quel che pare più apprezzato), mi appare più spontaneo e comprendo i personaggi al punto che una Meiko Kaji inginocchiata e implorante di fronte alla vedova dell'uomo che ha ucciso anni prima, mi ha strappato più di una lacrima. Considerato anche il fatto che è proprio lei la donna che ha fatto una petizione per alleggerire la pena di Nami, la scena mi è apparsa sincera e toccante.
Questa attrice è ormai "di famiglia", una mia compagna fedele ed amata per merito dei suoi dischi (sconfino forse nel fanatismo). Forse proprio per questo amore che le porto, è riuscita a colpirmi così visceralmente in tale scena. Da quel momento di preghiera, sono diventati miei tutti i sentimenti e i gesti di Nami, che culminano in una bellissima e tesa sfida a biliardo contro i cattivi di turno, con in palio tutto quello che possiede la sua padrona, prima ancora che nella resa dei conti finale.
Piccoli e plateali tradimenti, quasi troppo “bambineschi”, ingenuamente a fior di pelle, scatenano la tempesta dei sentimenti. E' stato come ritornare bambino, quando l'amichetto non mantiene la promessa di darti una figurina dell'album!
Gesti e motivazioni forse primitivi, ma proprio per questa carica emotiva primigenia che scatenano, coinvolgenti e disarmanti.
E poi c'è quell'inizio, che basta da solo, almeno per me, a giustificarne la visione. Di nuovo, è la Meiko Kaji cantante che mi scuote. E anche la sequenza di immagini e battute, che ho riviste tante volte quanto una ragazzina non si stufa di mettere da capo la canzone del suo idolo canoro. Nami, in cella con altre detenute, si presenta ad una ladruncola che alza troppo la voce. Difficile essere certi dei dialoghi: due differenti sottotitolature in inglese forniscono sia pure piccole differenze. Qui, alla fine, ho optato seguendo la versione che preferivo
Sono nata e cresciuta nel distretto di Kanto. La mia città natale è Shimbashi, nella bella Tokyo. Mi chiamo Nami Higuchi. La gente mi chiama Nami, il Fiore Rosso di Ciliegio. Come puoi vedere, sono una nullità. Nient'altro che una vagabonda senza casa.
Notare il carattere della musica in sottofondo, come malinconicamente sospesa, che dà il tono alla dichiarazione.
E inizia la sigla - f subito, scriverebbe forse un compositore - con un breve, ma di ampio respiro e potenza, motivo introduttivo di quattro note, una breve "volata" per conferirgli maggior peso, e di nuovo il motivo - con la grande scritta rossa del titolo su sfondo nero, siamo in galleria, il treno in soggettiva sembra cercare una via di uscita a tentoni, verso una nuova vita.
La luce, il treno esce, rimane in viaggio per tutta la durata della magnifica sigla, i paesaggi volano via e Nami canta di sè con la bellissima Ginchô wataridori:
Il dolore insopportabile mi ha fatto piangere,
ma nessuno vedrà mai le mie lacrime.
Cosa mi porterà il domani, dove andrò?
Ah ah ah Farfalla vagabonda di Ginza.
E' un modo di "immaginare" le cose, senza una logica stringente eppure senza esserne privo, che amo molto: Yamaguchi ne parla di sfuggita
(Il regista Kazuhiko Yamaguchi. Alle sue spalle ci sono, tra gli altri, i manifesti del film)
...negli speciali del dvd a proposito di un altro suo bellissimo film di genere, Delinquent Girl Boss: Worthless to Confess (Zubekô banchô: zange no neuchi mo nai, 1971) (a mio parere il miglior film del set di dvd "Pinky Violence", e di nuovo leggo che quasi a tutti sembra il meno interessante, a me sembra l'unico degno di interesse, sperando di non dare l'impressione di voler sempre contraddire).
Sergio Leone fece un film intitolato C'era una volta il West, credo sia stato distribuito verso il 1968, prima del mio debutto come regista. Ho visto la maggior parte dei western di Leone (...) I costumi dei cattivi erano davvero belli, indossavano tutti lunghi cappotti. Fu questo ad ispirarmi a vestire come loro i miei personaggi femminili, mi suggerì l'immagine specifica per la scena dove le ragazze organizzano l'imboscata. Le feci vestire con lunghi cappotti perchè facevano una gran figura. Semplice, no?
(Delinquent Girl Boss: Worthless to Confess (1971). Al centro, Reiko Oshida)
Reminiscenze western, qui a confronto con una scena da Sfida all'OK Corral (Gunfight at the O.K. Corral, 1957) di John Sturges, con Kirk douglas e Burt Lancaster.
Torniamo a Meiko Kaji, come una bambina, con i capelli neri e lunghi, quegli occhi lì, che mette tutta se stessa in quella partita a biliardo, come ho potuto sospettare che fosse meno che bellissima osservando certe sue foto o vedendo Lady Snowblood? Vince, è tradita, rimane sorpresa del tradimento: in questa sequenza di eventi vedo qualcosa di innocente, di bambinesco appunto, riflesso nei suoi occhi stupiti. Forse avevo segretamente bisogno che si riscattasse, almeno ai miei occhi, dalla gelida personificazione di Lady Snowblood. Volere che una persona che si ama si riscatti ai nostri occhi è una cosa indegna, ma... ci voleva che potessi sentirla vicina anche come attrice, dopo che si è letteralmente impadronita della mia anima musicale.
Forse il film non c'entra niente, forse dovevo semplicemente sentirla così profondamente vera. Così come l'avevo sempre sentita nelle canzoni. Deve essere stata grande la mia delusione per Lady Snowblood (che ho visto tre volte intero, e varie a spezzoni), assai più di quanto abbia osato confessare a me stesso. Forse fu un vero colpo che mi raggelò, mentre continuavo a tentare di mentirmi sulla qualità di quei due film. Non volevo ammettere che Meiko Kaji potesse deludermi, essere qualcosa di meno splendente dell'aura di divinità con la quale l'ho ammantata. La colpa è mia, che amo i musicisti o le cantanti più delle persone che mi stanno intorno. Peggio per me, il castigo è meritato! Ma è pur vero che solo a loro sono riuscito a perdonare cose che non avrei perdonato se me le avesse fatte un altro, neppure se fossero state cento volte più piccole. Loro mi hanno insegnato più di chiunque a ricordarmi che il legame che ci unisce è più importante degli accidenti della vita.
Insomma, ma dov'era finita la mia Meiko Kaji... quella di Kakioki (かきおき), che arriva quasi agitata al punto culminante, e lo scioglie poi così liricamente con un semplice e profondo vocalizzo...
...quella di Casbah no Onna, che cammina sui trilli degli archi come San Francesco da Paola sulle onde, quella con cui le melodie dei violini dialogano come il poverello di Assisi con gli uccelli?
Dov'era finita?
E non ho neppure mai creduto davvero alle mie orecchie, né sospettavo (pur sapendolo benissimo, ed anzi vantandomene) di essere così infantile. Sarà una buona cantante, in realtà – lo sarà per davvero – o no? Come ha fatto a fare di me un suo fedele, al punto da non voler vedere i suoi “errori”? Anni di crampo interiore inconscio sciolti da Nami che si prostra di fronte a quella donna sola col piccolo figlio, nella quale finalmente riconosco la cantante piena di sentimento “puro” che ho sempre conosciuta.
Sono solo illusioni, in realtà ho chiesto al film di esaudire la mia preghiera infantile:
“restituiscimi la mia Meiko Kaji”.
Mi ha esaudito, proiettando le immagini di un film che non esiste, lì, sul muro.
Le parole di Goethe...
Guglielmo, cosa è mai il mondo senza amore per il nostro cuore? E' una lanterna magica senza luce! Appena ci metti il lume dentro, ecco le variopinte immagini sulla parete bianca! E non fossero altro che labili fantasmi, son pure la nostra gioia, quando come ingenui ragazzi li contempliamo deliziandoci di quelle prodigiose apparenze. (...) Guglielmo, possono essere fantasmi, se ci rendono felici?
Dico la verità: non me ne importa nulla dei film, della musica. Non mi importa di nulla!
Ai film chiedo solo di regalarmi dei sentimenti, degli stati mentali – l'esperienza delle vette – che loro probabilmente non conoscono, come le maddalenine nel romanzo di Proust. E mi ci arrabbio, li spremo, faccio cose turche, perchè è da lì, da una semplice tazza di the che devono uscire i miei giardini, le mie valli e i miei monti.
Possono essere illusioni, se ci rendono felici?
C'è un'altra scena memorabilmente interpretata dalla Kaji, quando le amiche scoprono che è stata in prigione e cominciano a parlarle dietro le spalle.
Toccano quel dolore, quelle lacrime che nessuno vedrà mai, il suo tentativo di continuare a migliorarsi, e lei esplode: strattona la collega, impugna un coltello.
Sono stata in prigione, e allora? E allora cosa, anche se sono un'ex carcerata? Hai ingoiato la lingua?
Scena che culmina magistralmente nello schiaffo che riceve dalla sua datrice di lavoro. La padrona ne rinforza il nuovo senso di identità:
Ti è stato forse detto che sarebbe stato facile? Ora sei una hostess.
Non più quello che era. O che sentiva di essere. Nami pianta il coltello sul bancone e fugge.
Scene già viste, riviste, eppure per me è come fosse la prima volta, grazie alla recitazione dell'attrice e anche ad un commento musicale scritto sapientemente.
E che dire di Nami che cammina sotto la pioggia in kimono, piena di lacrime che nessuno vedrà mai (Volevo farle indossare quel kimono, ricorda Yamaguchi), cantando Koi ni Inochi wo (銀蝶ブルース).
Mi piace che la scena sia ambientata sotto la pioggia, come fossero le lacrime nascoste che inondano la scena.
Di solito non amo i combattimenti con la katana, non mi piace l'idea di arrecare ferite da taglio sulle persone, le detesto. Vi scorgo una brutalità che sconfina nell'infantile, nell'incoscienza, nella stupidità, assai più che in una sparatoria con armi da fuoco. Presentarsi al duello con le spade, avvicinarsi all'avversario dovrebbe dare molto più tempo per riflettere sulla propria follia. Hai una pistola... spari probabilmente a distanza, nascosto tra le rocce, come in un western. La tua follia dovrebbe essere più al sicuro, spari ad una sagoma lontana... puoi essere folle più a lungo, sei scusato! Ma andiamo, affrontarsi all'arma bianca, e con tutti quei versi, poi! Senza neppure rinsavire un pò... Non mi piace, solitamente, l'improvviso scatto di violenza dopo la quiete. Difficile saperlo giustificare con quanto precede.
Qui però poco c'è mancato che mi identificassi in Nami che colpisce i suoi avversari, era molto tempo che non venivo catturato così fisicamente, oltre che emotivamente, dall'azione di un film.
E non è neanche vero che lo scatto di violenza sia improvviso, avevo fatto troppo presto a credere alle cose che ho lette in giro. Al contrario, è il culmine di quello che lo precede. E' semplicemente localizzato nel finale del film. Senso dell'armonia, ecco. Scena girata benissimo, eppure leggo che niente può risollevare questo film dalla sua mediocrità. Si vuol mettere un bel bagno di sangue?
Qui il combattimento è magistrale, macchè mal girato! E arriva al momento giusto, senza eccessi.
Nami e Riuji si ritrovano nella strada deserta insieme, riconoscono di essere simili, due “viandanti” senza casa, l'orfano e la Farfalla di Ginza. Parlano con serenità, forse Meiko Kaji non è mai stata così radiosa.
Non si nascondono, sanno cosa li aspetta, ma sembrano due comuni passanti.
Mi sento sereno.
(versione 1,45)
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Messaggio modificato da fabiojappo il 04 December 2015 - 06:29 PM