HANEZU
Hanezu no tsuki
(朱花の月)
Giappone, 2011
Drammatico
Regia: Naomi Kawase
Sceneggiatura: Naomi Kawase (tratta da una novella di Masako Bando)
Fotografia: Naomi Kawase
Montaggio: Naomi Kawase
Interpreti: Tôta Komizu, Hako Ohshima, Tetsuya Akikawa
Durata: 91'
Versione: 1.30
Sinossi. Villaggio di Asuka, prefettura di Nara. Kayoko, un’artigiana dedita alla colorazione delle stoffe, si ritrova divisa tra la convivenza apatica con il compagno Tetsuya, un sostenitore dello slow food e dell’agricoltura biologica, e la relazione clandestina con Takumi, uno scultore che trascorre le giornate lavorando il legno a contatto con la natura. La situazione si complica quando Kayoko confessa al suo amante di essere incinta di lui: la donna deve decidere se continuare a stare al fianco del compagno oppure se costruirsi una nuova vita con il padre del nascituro. Sullo sfondo gli scavi archeologici che stanno portando alla luce l’antica capitale Fujiwara.
Commento. Naomi Kawase prende spunto da un poema contenuto nel Man'yōshū (la più antica raccolta di poesie in giapponese) per raccontare il sentimento della passione e delle ineludibili sofferenze che esso comporta. Già nel titolo del film (in originale Hanezu no tsuki) c’è un richiamo: nel Man'yōshū compare l’uso della parola hanezu, una gradazione del colore rosso, un rosso vivido, delicato, mutevole, che può sbiadire facilmente, come la passione che brucia ogni cosa nell’anima fino a quando il combustibile dell’amore non inizia ad esaurirsi. C’è poi un altro riferimento, direttamente collegato ai protagonisti: una voce fuori campo ci accompagna lungo la narrazione recitando un componimento poetico che parla di due monti, il Miminashi e il Kagu, diventati rivali per conquistare il cuore del monte Unebi. Le scene iniziali del film, in cui vediamo Kayoko impegnata in un procedimento artigianale per la colorazione di rosso di una sciarpa, mettono subito in chiaro il tentativo ardito da parte della regista di creare un punto di contatto tra la leggenda e la realtà, fino ad immaginare il presente come il proseguimento di qualcosa che si è verificato nel passato, nella convinzione che le vite delle persone siano legate le une alle altre. Non è un caso se l’amore che prima unisce e poi divide Kayoko e Takumi ne riecheggia un altro, quello vissuto dai loro avi molti anni prima, la cui presenza irrompe nel film in più di una scena, attraverso flashback o addirittura momenti in cui li vediamo ‘materializzarsi’ al fianco dei protagonisti, come a voler mostrare l’esistenza come un ‘eterno ritorno dell’uguale’. Questa rappresentazione quasi tangibile di continui sconfinamenti tra passato e presente, tra il corpo e lo spirito, è quasi una novità nella cinematografia della Kawase, non tanto nella sostanza quanto nella forma. La regista ha sempre avuto il grande dono di scandagliare l’invisibile delle emozioni umane con immagini minimaliste ma di grande suggestione in funzione della contemplazione della Natura, frapponendo la sua macchina da presa tra l’individuo e il cielo e la terra come se la cinepresa fosse uno strumento di svelamento dell’intimo rapporto con il mondo. Con Hanezu, il cinema della Kawase fatto di umori, sguardi, sensazioni impalpabili perde in parte la sua forza evocativa, cedendo a volte il passo a qualche forzatura di troppo, ad alcuni artifici didascalici che soffocano le immagini, le ingabbiano dentro un senso fin troppo chiaro. È come se lo sguardo istintivo della regista avesse lasciato il posto alla programmaticità di una scrittura che piega le immagini alle proprie metafore (un problema che si ripeterà anche nel successivo An).
Ciò non toglie che Hanezu rappresenti una visione consigliata per chi vuole avvicinarsi al cinema di questa straordinaria regista, ma anche un ripasso utile per chi ne è già un estimatore.
Traduzione: Asian Film Festival
Sincronizzazione, Revisione ed Editing sottotitoli per AsianWorld: Fabiojappo, François Truffaut
Buona visione!
Messaggio modificato da fabiojappo il 17 June 2015 - 12:41 PM